The Tempest


from William Shakespeare
 

Adaptation and direction Giacomo Vezzani
artistic supervision Maria Grazia Cipriani
 

light design Fabio Giommarelli
music Pappacena/Vezzani
sounds Luca Contini
voice over Elena Nené Barini
scenographic elements Giacomo Pecchia and Giacomo Dominici
graphic design Manuela Giusto
 

production Teatro Del Carretto 
supported by La Corte Ospitale, Il Funaro and Officine Papage



Actors

Teodoro Giuliani

Elsa Bossi

Fabio Pappacena

Director's notes

***English version coming soon***

 

La tempesta, testamento teatrale di Shakespeare, è una tragicommedia dove il vero dramma sta nell’impossibilità di rappresentare il sogno.

E se fosse proprio il sogno il vero motore di una macchina teatrale che coinvolge un Prospero orfano dalla sua favola da raccontare?

Avremmo allora una Miranda che è obbligata ad essere Ariel e un Ferdinando che riscopre la sua animalità in Calibano.

In una scatola cinese, delineata da più sipari lacerati, si svolge quello che rimane di un gioco teatrale, dove si alternano canzoni, pantomime e monologhi preparatori.

L’isola di Prospero non è altro che uno stato mentale, la dimensione onirica di un regista visionario, di una messinscena impossibile.

Sarà proprio Prospero, prigioniero di un sogno o di un incubo, che cercherà di coinvolgere due attori indolenti a interpretare il complicato intreccio della vicenda. Nel dolce perdersi, nell’interpretare una canzone, o persuadendosi di essere davvero l’usurpatore, man mano il complicato intreccio di desideri spinge ogni personaggio a chiudere la storia, nella messa in scena di una vendetta inesistente, per il puro piacere di raccontare un epilogo. In tal caso potremmo scoprire che intorno al sonno della nostra vita è l’illusione teatrale che sa traghettarci verso il senso stesso dell’esistenza.

 

È possibile acquistare anche il CD con le musiche dello spettacolo firmate Pappacena/Vezzani, con le voci di Elsa Bossi, Fabio Pappacena, Elena Nené Barini e Giacomo Vezzani. Il CD contiene le cinque canzoni dello spettacolo e altri preziosi inediti, insieme a brani di Luca Contini.



Calendar

August 27, 2019
CSC Garage Nardini
Bassano Del Grappa (VI)
July 12, 2019
Teatro dei Coraggiosi - Festival delle Colline Geotermiche
Pomarance
December 07, 2019
Il Funaro
Pistoia
December 13, 2019
Teatro Niccolini
San Casciano Val Di Pesa
December 14, 2019
Teatro Rossini
Pontasserchio (PI)
January 21—22, 2020
Teatro Garibaldi
Carrara
January 24, 2020
Teatro Pacini
Pescia
February 07, 2020
Teatro degli Industri
Grosseto
February 14—16, 2020
Teatro Del Giglio
Lucca

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Reviews

La Tempesta-megliomeno.com

Luigi Scardigli

Ormai è conclamato: con William Shakespeare si può fare di tutto, specialmente ne
La tempesta, il suo ultimo manifesto, le sue volontà. Il Teatro del Carretto, al
Funaro di Pistoia, in prima regionale, ne ha offerto una versione particolarmente
brillante, con un Prospero biblico, particolarmente accigliato (il fisico imponente di
Teodoro Giuliani ne ha facilitato la proiezione), presagio di disastri, padre/padrone
affettivo/compulsivo che non riesce a sciogliersi nemmeno al cospetto della
straordinaria Elsa Bossi, la figlia Miranda, che è poi anche Ariel e vocalist
impeccabile, soprattutto, ardentemente desiderosa di trovare il proprio principe
azzurro, che è lì a due passi (Fabio Pappacena), anche lui, per esigenze attoriali, uno e
trino, un po’ Ferdinando, un po’ Calibano e puntuale apprezzabile diaframma. Al
posto dell’acqua, sull’isola che non c’è o che comunque la si può inventare o
immaginare, c’è un mare di libri, che solo Prospero ha diritto di calpestare con stivali
texani; gli altri due della Compagnia del Carretto invece sono provvidenzialmente
scalzi. Certo, devono muoversi più agilmente, migrare e trasmigrare in altri corpi e
suggestioni e poi, devono cantare e in virtù delle ultime disposizioni teatrali, bisogna
stare a piedi nudi.
Ma non è dell’interpretazione shakespeariana che vogliamo parlarvi; anche perché,
dopo La tempesta di Roberto Andò vista alla Pergola di Firenze 48 ore prima, si
potrebbe istituire un lunghissimo dibattito, a riguardo e sposare, come veritiere e
attinenti, tutte le versioni praticate, senza riuscire a stabilire, con matematica certezza,
le singole posizioni. La Tempesta del Funaro ci ha catturato da un punto di
osservazione semplicemente e esemplarmente teatrale: le voci, i corpi, la ginnastica,
la coralità. Se poi Prospero abbia o meno ordito il naufragio, preoccupandosi di
lasciare incolumi tutti gli abitanti dell’imbarcazione squassata e mandata alla deriva,
anzi, a più derive, raccogliendo così, attorno a sé, i suoi cari e i suoi nemici, per la
piacevole resa dei conti con tanto di finale a lieto fine; se l’isola che non c’è è un
rifugio di dannati costretti all’espiazione o l’esilio degli intellettuali spodestati che
possono così ricostituire il proprio regno; se quella lingua di terra sospesa nel mare è
una raccolta di buoni propositi lasciati in eredità a chi dovrà prendersi cura di
continuare a fare i conti con le sorti dell’umana specie; se è il Re di Napoli ad aver
sovvertito quello di Milano o se è stato il fratello geloso a prendere il suo trono; su
tutto questo non sappiamo cosa rispondervi e non ci concentreremo nemmeno un
istante per riuscire a farlo. Ma se tutto quello che si sa su William Shakespeare e la
sua Tempesta e su come ci si debba deontologicamente comportare quando ci si
accinge a parlarne, in particolar modo a teatro, deve soddisfare il piacere di una
serata, acuire la curiosità circa la vita e le opere dell’immenso drammaturgo inglese e
consentire a chi preferisce l’esenzione dall’automazione televisiva o culinaria del
sabato sera e assistere, alternativamente a un apericena o a una striscia di bamba, a
una performance attoriale degna di essere segnalata, recensita e non dimenticata,
bene, La tempesta della Compagnia del Carretto è qualcosa che vi consigliamo di
non perdervi: curata minuziosamente e intelligentemente nei dettagli scenografici
senza aver fatto ricorso a stratagemmi particolarmente onerosi e dispendiosi, offre,
con poderosa fisicità, pulizia timbrica, indiscussa amalgama e una dose di sottile
ironia, una rappresentazione teatrale degna di essere registrata. E consigliata.

La Tempesta

Line Zonin

…Di solido impianto classico è il lavoro presentato al Garage Nardini dagli attori
toscani del Teatro Del Carretto, ideatori di un libero rifacimento nientemeno che della
“Tempesta” di Shakespeare. In scena, per ricoprire i venti personaggi indicati nella
stesura originale, ci sono tre soli interpreti, Teodoro Giuliani, Elsa Bossi, Fabio
Pappacena. L’operazione, all’apparenza titanica, di rappresentare a ranghi così ridotti
un’opera tanto corposa riesce grazie a un approccio del tutto particolare al lavoro
scespiriano. Sia il frequente ricorso al canto, sia i rumori di fondo, incombenti ed
inquietanti, sia l’abbigliamento e l’atteggiamento degli attori richiamano gli stilemi
dell’opera rock e giustificano l’inevitabile semplificazione del testo. Pur nella sua
forma ellittica, la messa in scena riesce a trasmettere quel senso di percezione onirica
della realtà che nelle intenzioni dell’autore si identifica con la magia della
rappresentazione teatrale. Lunghi applausi da parte del pubblico.

La Tempesta-rockit.it

Giandomenico Piccolo

Musica transmediale per quindici tracce che non raccontano un compartimento artistico isolato, ma si prestano in forma di colonna sonora alla riproposizione teatrale firmata dal Teatro del Carretto della shakespeariana opera “La Tempesta”, tragicommedia incentrata sull'impossibilità di rappresentare il sogno.

L'opera è curata da Fabio Pappacena, Luca Contini e Giacomo Vezzani, che sono anche interpreti della messinscena: tra bassi avvolgenti e testi decantati in downtempo, i brani colorano atmosfere a forti tinte trip-hop, con piacevoli incursioni tra blues e rock. Un comparto musicale certamente curato nei dettagli, dalla fase compositiva fino alla registrazione e post-produzione, autentici punti di forza di questa compilation: l'ascolto in cuffia è riduttivo, mentre attraverso un buon impianto audio ci si immerge completamente nell'atmosfera teatrale che il suono e le parole enfatizzano.

È raro recensire dischi che sono d'accompagnamento per un'altra istanza culturale, ma posso affermare con serenità che questa colonna sonora può percorrere un proprio cammino autonomo senza necessariamente essere subordinata alla performance teatrale: ogni brano ha una sua funzionalità autonoma e risulta, nel complesso, un disco piacevole d'ascoltare.

 

‘La Tempesta’ secondo il Teatro Del Carretto fra atmosfere cupe e goliardia

luccaindiretta.it

*** English version coming soon***

Al Giglio la prima dell'adattamento della compagnia lucchese del dramma di Shakespeare.

 

Si abbatte placida e quieta la prima de La Tempesta, adattamento della nota opera shakespeariana, in scena ieri sera al teatro del Giglio di Lucca.

Sotto la supervisione artistica di Maria Grazia Cipriani, i tre interpreti della compagnia Teatro Del Carretto, conducono in un’impresa dalle atmosfere quando cupe quando goliardiche in un eccellente adattamento della nota opera del drammaturgo inglese; un suggestivo turbinìo di interpretazioni multiple e musiche eseguite magistralmente dagli attori Fabio Pappacena ed Elsa Bossi, arricchite e coronate dai monologhi appassionati di Teodoro Giuliani.

Prospero (Teodoro Giuliani) sogna la vendetta verso il fratello Antonio, usurpatore del suo Ducato di Milano. Lo accompagnano nell’onirica impresa Ariel/Miranda (Elsa Bossi) spirito benevolo nonché figlia, in contrapposizione con Calibano (Fabio Pappacena) spirito malvagio e vendicativo. I due personaggi paiono rappresentare gli stati d’animo di Prospero a tratti crudele e vendicativo, a tratti sconfortato dalla sua tragica ricerca non più del potere perduto, quanto della pace che tale conquista sembrerebbe significare.

Le esecuzioni degli attori mantengono le atmosfere dell’opera originale, entrando però nei panni non più dei personaggi, quanto dei sentimenti, interpretazioni introspettive che rendono superbo il loro lavoro.

 

La Tempesta del Carretto: un epilogo onirico di suoni

Alice Capozza- paneacquaculture.net

La Tempesta, epilogo di Shakespeare, approda al Teatro del Giglio di Lucca, casa natale della compagnia Teatro Del Carretto, nell’adattamento di Giacomo Vezzani (anche regista dello spettacolo) e la supervisione artistica di Maria Grazia Cipriani.
In scena solo tre attori, che interpretano tutti i personaggi dell’intreccio narrativo, Teodoro Giuliani – Prospero, Antonio, Stefano – Elsa Bossi – Miranda, Ariel, Trinculo – Fabio Pappacena – nei ruoli di Caliban e Ferdinando, oltre a Sebastiano.
La musica, degli stessi Vezzani e Pappacena, con Luca Contini, accompagna tutta la rappresentazione, in una versione dove la dimensione onirica è protagonista: «siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è circondata da un sonno».

Apre la scena una ballata sui versi di John Donne, poeta contemporaneo del bardo, dolcemente cantata da Pappacena e Bossi fermi alle aste dei microfoni. Al centro appare, da dietro un sipario rosso, Prospero con il suo monologo più noto, recitato con la voce di un tuono: «il nostro spettacolo è finito». Così le parole tratte dall’epilogo danno inizio alla tempesta. Già in questo incipit è contenuto il capovolgimento dell’opera da parte del Carretto, a dichiarare fin da subito l’impossibilità di rappresentare il sogno di Prospero.

Il palco è coperto da una distesa di pagine sparse di antichi manoscritti. La scena è illuminata con luci a pioggia o di taglio con effetti di ombre sui volti, fino ad usare il lume fievole di candele. Così si palesa la magia, deus ex machina di tante opere shakespeariane, che tiene aperto il gioco teatrale, senza suggerire soluzioni all’enigma: è finzione o realtà ciò che vediamo? Possiamo chiamare realtà il meccanismo immaginifico del teatro?

Giuliani/Prospero è il padrone della scena, in mano stringe la bacchetta del direttore d’orchestra con cui concerta lo spettacolo orrendo del naufragio. Come un regista onnipotente, fa vivere, muovere e morire i propri personaggi, con il potere dell’immaginazione del dramaturg, ovvero dello stesso Shakespeare. Governa un’isola che non c’è con la magia, un purgatorio per i traditori, un Cocito di reminiscenza dantesca, dove giacciono riversi i Caini. Questo diventa l’isola per i nemici di Prospero, che tutti li raduna per trafiggerli con la lama della sua vendetta: Antonio, Sebastiano, il re di Napoli Alonzo e lo schiavo Caliban.

Ma le vicende ne La Tempesta si dissolvono in un perdono finale, un epilogo di pace. Shakespeare/Prospero con quest’opera dà il proprio congedo alle scene: «ora i miei incantesimi si sono tutti spenti». Ariel canta «on the bat’s back I do fly». Non è la morte la pace desiderata, come nell’Essere o non essere di Amleto. Il drammaturgo, ormai vecchio, sogna la possibilità del perdono nella vita che ha speso nel «progetto di dar piacere col teatro», capace questo forse di traghettarci verso il senso dell’esistenza, oltre le passioni del momento, oltre i tradimenti e il dolore.

Nonostante l’intera rappresentazione dai toni cupi e violenti faccia presagire una fine tragica, è interessante la soluzione registica di Vezzani per l’ultimo atto: lo stanco Prospero si ritira nel fondo palco, oltre il sipario a mezza scena che lo ha introdotto, seduto a terra. Davanti a sé ha dei piccoli burattini di creta bianca sostenuti da esili stecchi, ciascuno corrispondente ad un suo interlocutore nella trama. Avviene un rito di purificazione in cui Prospero, dopo tante tribolazioni si lava il viso con l’acqua di una bacinella e nel gocciolare di queste lacrime catartiche i lacci della vendetta sono dissolti, come un battesimo.

 

Densa di significati La Tempesta di Shakespeare trova un’inaspettata forza nell’adattamento del Carretto che costringe in soli tre attori i tanti personaggi creando degli accostamenti che ne amplificano le caratteristiche.

Quasi non ci accorgiamo dell’alternarsi tra Miranda e Ariel nell’interpretazione di Elsa Bossi: entrambe sono angeli eterei assoggettate al volere di Prospero con un desiderio di libertà: Miranda di innamorarsi e Ariel di volare via. Negli inserti cantati l’ottima voce di Elsa Bossi risuona acuta che siano i gorgoglii dello spiritello o l’incanto del sogno della fanciulla. Non c’è la volontà di distinguere i due personaggi nell’adattamento registico: Prospero chiama la figlia e risponde Ariel con la poesia della seconda scena del primo atto, canzone che fa innamorare la dolce Miranda e Ferdinando.

Altro essere magico al servizio di Prospero è Caliban, magistralmente interpretato a torso nudo da Fabio Pappacena, che usa la voce distorta dagli effetti di riverbero e dai suoni di percussioni, ricordandoci la ricerca vocale di Roberto Latini. Caliban, personaggio enigmatico, è il selvaggio indigeno, lo schiavo educato alla parola dai conquistadores Prospero e Miranda. «Mi avete insegnato la vostra lingua e ora so maledirvi». Freedom canta Caliban in un blues dal ritmo triste e dondolato, conducendo immediatamente la fantasia dello spettatore tra gli schiavi neri dei campi di cotone. Questa la scelta più azzeccata e coinvolgente dell’accompagnamento musicale dello spettacolo.

La scelta di Vezzani è di racchiudere nello stesso attore il violento Caliban, aggressore di Miranda, e l’innamorato Ferdinando che la fanciulla paragona ad un dio venerabile. Così l’amore irruento di Caliban è risolto nell’amore casto di Ferdinando: «Lui è Caliban» pronuncia Prospero, e il giovane si scaglia con un balzo togliendosi la giacca contro la figlia, dichiarando il suo unico rimorso di non aver «popolato l’isola di mille piccoli calibani». Le scene dei due personaggi sono mescolate con sapienza attraverso i passaggi d’identità in una confusione ricca di significati.

Ma l’accostamento più ardito operato ne La Tempesta del Carretto è tra Prospero e il fratello Antonio: Teodoro Giuliani è allo stesso tempo tradito e traditore, giustiziere e condannato. La voce dell’attore si fa melliflua nel personaggio di Antonio, per tornare solenne e potente in Prospero. Il rancore che dimora nell’animo del protagonista è verso se stesso: la guerra ruggente della tempesta artefatta si scaglia contro la sua stessa avidità. Il passaggio attraverso la tempesta consente una pacificazione interiore con se stesso rappresentata dall’epilogo, una possibilità di comprensione.

Nell’immaginazione purificatrice sta tutta l’opera. Attraverso il suggestivo linguaggio universale della musica il Teatro del Carretto ci restituisce La Tempesta di Shakespeare rinnovata di significati, carica del tradimento, del perdono, del bisogno di dialogo, di armonia e pace. Un messaggio quanto mai attuale.

«Nessun uomo è un’isola» John Donne

La Tempesta-artigianalità epica

Sharon Tofanelli-persinsala.it

***English version coming soon***

La Compagnia Del Carretto arriva, con la nuova produzione shakespeariana, al Teatro del Giglio di Lucca.

Corre. Non è stata, e non sarà poi, questa tempesta. È adesso.
Shakespeare ci scaraventa così nel cuore della sua burrasca, ché forse ha avvertito il tempo fuggirgli dalle mani e conseguentemente ha trovato impossibile attendere ancora. Ecco dunque l’inversione della prassi: dal viluppo all’appianamento, con disarmante semplicità, quasi che ciascun personaggio collabori al processo in autonomia dagli altri. Stanchi magari, o magari ottimisti. Quest’opera inizia sotto i peggiori presagi per poi ridersela e sbrogliarsi da sé. Lo fa giocando, esibendo, cantando, beandosi dell’intrigo man mano che lo scompone. Lo fa Peter Greenaway con Prospero’s Book, con l’opulenza, il barocco e gli spartiti di Michael Nyman.

E lo fa la Compagnia Teatro Del Carretto, in scena al Giglio da venerdì 14 a domenica 16 febbraio. Il debutto lo scorso 27 agosto in area vicentina.
«L’ho voluto sfilacciare ancora di più. Le trame si concludono per magia»: nel foyer del teatro il cast ha incontrato il pubblico. Teodoro Giuliani, Elsa Bossi e Fabio Pappacena, un trio per una moltitudine; e Giacomo Vezzani, regista e adattatore del testo del Bardo. All’ipotesi di un William Shakespeare contemporaneo risponde che scriverebbe serie tv, votato come si presenta all’attualità, a cogliere il pubblico nel minimo comune multiplo dell’umanità che ci tocca condividere; e soprattutto all’interrelazione delle sue trame, fatte di cicli storici, di protagonisti morti che ritroviamo vivi e secondari in altre opere. Finalmente La Tempesta, “antologia di tutta la sua opera”, come la definisce Vezzani. Si specula sulla possibilità o meno che Shakespeare abbia celato se stesso dietro il personaggio di Prospero, il mago che non compie in concreto neppure una magia, ma il cui potere permea l’intera opera. Di fatto Prospero è il Demiurgo dell’isola, sue creazioni gli spiriti che ne eseguono i comandi.

“This thing of darkness acknowledge mine”, recita il sottotitolo in locandina, estrapolato dal testo d’opera. È da questa frase che scaturisce il lightspot dell’adattamento di Vezzani, che collima con la storica poetica della Compagnia: l’indagine sul mito e l’epopea per cavarne le radici dell’essere umano, in un dualismo continuo tra artificio e spoliazione, risalendo alla foce dell’animo come fa il Marlow di Cuore di tenebra. L’abbiamo visto ne L’Iliade, con l’emergere di Andromaca, persona e non solamente personaggio, unica nella proliferazione delle macchine: la voce del dolore nella sua essenzialità. Allo stesso modo, dichiara Vezzani, la Compagnia sta gradualmente lasciando cadere le maschere e i pupazzi che l’hanno sempre connotata, tanto che il questo lavoro si hanno soltanto in due occasioni. Quel tratto di artigianalità che vediamo riflettersi nella navicella di legno sballottata da una Bossi/Ariel che pare un bambino che gioca – e che forse è citazione della scena analoga di Greenaway. È d’altronde la stessa attrice ad accomunare la recitazione al gioco, dal momento che esercitare il teatro porta necessariamente a cercare collegamenti e nuovi significati a ogni replica, seguendo l’attitudine a complicare che già il Da Vinci esprimeva nell’arzigogolo dei suoi taccuini. E se, da un lato, “basterebbe il solo Prospero” (Pappacena) – essendo Ariel, Calibano e gli altri poco più che proiezioni – dall’altro, c’è il compiacimento dell’attore che passa da un personaggio all’altro, dal pianto di Miranda al riso di Ariel, dalla discreta lamentazione di Ferdinando ai gemiti ferali di Calibano. Sono voci che si prolungano e cangiano di natura, in quella struttura “a scatole cinesi” che è propria della Compagnia lucchese, che ha superato i venticinque anni di attività.

Su questo spettacolo incide poi la musica. L’apporto sonoro ha sempre avuto un peso, così come la corporeità e la sinergia di più medium; tuttavia, e già lo abbiamo visto con Blake Eternal Life, la canzone è un’entità indipendente. Il suo rapporto con la commedia è paritario, in dialogo senza catene. Così canta Calibano in Caliban’s Blues, servendosi del genere musicale degli schiavi per declamare la fine del proprio servaggio a Prospero. L’utilizzo dell’inglese e la conseguente alterazione linguistica e sonora catapultano la trama dalla dimensione narrativa a quella emozionale, generando uno stacco estetico. Si può pensare alla canzonetta di Bertolt Brecht? Forse sì, forse no. Il regista tedesco si serve dei brani per allontanare il pubblico dalla finzione della scena; di conseguenza, per negargli l’immedesimazione con i personaggi grazie a una tecnica di straniamento. Qui percepiamo questi stacchi cantati quali enfasi, più accenti che punti di sospensione. Il cambio di registro e idioma comporta un’atmosfera più densa, come se una colata di melassa inglobasse la scena rallentandone la corsa. L’artificio sonoro rende onore ad Ariel nel suo rievocare la tempesta che ha provocato: talmente entusiasta della propria narrazione che il monologo si fa simultaneo, si ripete e svolge su due binari sovrapposti.

Veniamo al teatro nel teatro. Prospero, un Teodoro Giuliani già Odisseo, si rivolge al pubblico sporgendo il volto dai lembi del sipario. Esordisce così, accomunando la vita al sogno e anticipando i concetti del quarto atto. E altrettanto fa Greenaway, ma dopo la sequenza delle nozze. D’altronde già nel testo shakespeariano il Duca di Milano rompe deliberatamente la quarta parete e si rivolge al pubblico in quel che in più occasioni è stato definito un testamento artistico del Bardo; questi parla al lettore per bocca del protagonista, mago senza più magia che si appella a chi sosta al capo opposto della pagina o del sipario affinché lo liberi dal carcere della trama. E siamo ancora noi, il pubblico, a sostare alle spalle dei naufraghi a cui Prospero declama l’ultimo monologo; naufraghi esemplificati in un semicerchio di pupazzetti infilzati a morire attorno a un fuoco come marshmellow. L’ultimo ansito di artificio, l’ultimo strascico di un teatro artigianale che procede a essenzializzarsi, a volare su ali di suono, anelando come Ariel alla leggerezza.
Sempre equilibrista, sempre sul crinale tra l’abisso e il gioco, il Teatro del Carretto continua a decostruire e ricostruire i classici dell’umanità, a trasformarli, a estrarne il cuore ancora pulsante, ancora armonico con noi.

«Se potessi vorrei rifare un’altra Tempesta», così dice Vezzani.
E noi l’aspettiamo, questa tempesta che scompagina e rimesta la vita. Quella del Carretto, una volta ancora. E stavolta su quale epopea?