Joan at the stake


Text and direction Maria Grazia Cipriani
Sets and costumes Graziano Gregori
Sound Hubert Westkemper
Lights Angelo Linzalata and Fabio Giommarelli
Stage Photo Guido Mencari


Actors

Elsa Bossi

Nicolò Belliti

Giacomo Vezzani

Andrea Jonathan Bertolai

Inquisition's voice: Dario Cantarelli

Director's notes

The show does not claim to offer a comprehensive understanding of Joan of Arc’s character, nor is it an indulgent reading based on personal convictions.

 

Saint Joan's real story often disappears beneath the weight of successive interpretations, frequently fantastical or conditioned by ideology, which have obscured her personality: she became an object of renewed interest during the 20th century, both artistically, with the creation of numerous film, music and theatrical versions... and historically, with her elevation to sainthood.

 

What we are presented with is a tragic, mystical and visionary figure penalised and constrained by the rigid society of her time, betrayed, persecuted and burned alive by those in power.

What we must understand is that her story, from her trial and condemnation to death as a heretic, to her rehabilitation and nothing less than beatification, has been and continues to be appropriated and instrumentalised for all manner of political ends.

 

This is another reason for Joan of Arc’s story to remain so topical, provoking ideas and begging questions which, despite the changing of the times, are still forceful and universal; they deal with the fate of any victim suffering an abuse of power.

 

This production not only draws on the most important literary versions of the life of Saint Joan, but also the available archive material, becoming a dramatic production whose structure alternates scenes from Joan’s present, in which the protagonist imagines with dread her imminent execution, and relives her past, which she sees as the definitive summing up of her entire existence.” 

 

    Maria Grazia Cipriani




Reviews

Giovanna al rogo - La Repubblica

Rodolfo Di Giammarco

...Il Teatro Del Carretto ha plasmato la Pulzella d’Orlèans più carnalmente mistica, più anatomicamente virile, e più violentemente abusata che si sia mai vista. Giovanna al rogo, con la drammaturgia e regia di Maria Grazia Cipriani, ci mostra un’encomiabile Elsa Bossi, che sembra un soggetto torturato in una guerra qualunque, tallonata da tre sbirri inglesi, capaci d’aizzarsi per una partita Inghilterra-Francia trasmessa da una radiolina.

Il mistico che aleggia è dovuto a tagli di luce, o a sonorità dettate da Hubert Westkemper, in un recinto carcerario che è un’odissea ideata, con costumi sadomaso alla Bacon, da Graziano Gregori. La voce fuori campo dell’Inquisizione di Dario Cantarelli è livida.

…Lavoro angoscioso, di bellezza che taglia le vene.

Giovanna al rogo - Sipario

Ermanno Romanelli

…Maria Grazia Cipriani ci offre uno dei suoi lavori più potenti e sinceri…Lo è Giovanna al rogo, per essere riuscita, la regista, a condensare il grumo palpitante della sua scabra drammaturgia, "rubata" agli atti d’archivio del processo che guidò a morte la giovane. Il gioco teatrale è affidato alla voce dell’Inquisitore Dario Cantarelli e ad un ruvido terzetto di carcerieri inglesi: messaggeri feroci di una incomprensione dell’altro, di un rifiuto del diverso e del sottoposto, che centra visione e fatti del nostro quotidiano. L’evocazione dell’eroina trova uno slancio che tocca il sacrificio in una memorabile, emozionante Elsa Bossi. Presenza pudica e femminea, contrapposta al turbamento virile e sensuale dei suoi carcerieri, l’interprete è magistrale nel dare anima, corpo e piena credibilità alla sofferenza, interiore e reale, della Pulzella, al suo tormento per essere ormai sola, perduta, abbandonata anche da quel Dio con il quale ha uno straziante, sublimato dialogo.

Giovanna al rogo- stampatoscana.it

Gabriele Rizza

Forse un riparo, un rifugio nella savana (come in Koltes), una prigione a cielo aperto, un
angolo di accampamento, o forse un enclave della mente dove elaborare progetti di vita o
itinerari di morte. Sogni e sconfitte. Già ci smaniava Pinocchio, ci delinqueva Amleto. Ora
ci abita e ci si tormenta Giovanna d’Arco. Eroina antica dal volto moderno, santa fanciulla
di Francia chiamata a un compito più grande della sua età, che perse non ancora ventenne
sul rogo dell’eresia e della ragion di stato nel 1431. Il glorioso Teatro Del Carretto di Maria
Grazia Cipriani (regista e drammaturga) e Graziano Gregori (scenografo e costumista) si
affida a lei, alla sua inesauribile tempra di donna sacrificale e vergine sacrificabile, per la
nuova creazione, “Giovanna al rogo”, che ha debuttato in prima nazionale al Teatro del
Giglio di Lucca. Violentata, profanata, seviziata, torturata, ridotta a strumento nelle mani
dei suoi aguzzini (i volitivi Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Andrea Jonathan Bertolai)
Giovanna resa con intensità encomiabile per sfida fisica e immedesimazione spirituale da
Elsa Bossi, vive la condizione di tante donne oggi nel mondo (più o meno “civilizzato” non
fa differenza) vittime di carnefici interni (i familiari, gli amici, i compagni) e di predatori
esterni (sono loro le prime vittime innocenti di qualunque guerra, passata e presente). In
questa via crucis che avvampa di battaglie e teste mozzate (bella e suggestiva l’immagine
di Giovanna a cavallo, la spada sguainata in campo aperto come San Giorgio contro il
drago, alla testa del suo esercito), in questo carosello di violenze, morti e sevizie, di torture
visivamente palpabili, in questa terra selvaggia dove la storia passa e abusa di se stessa,
suda e si sporca, spremuta e attraversata come tante ghigliottine dalle sonorità metalliche
create ad hoc da Hubert Westkemper, Giovanna, vergine guerriera, affiora strenua fra reflui
di misticismo e fantasmi di fanatismo, come donna consapevole che cerca di fare i conti col
presente, di sopravvivere alle ingiurie dell’estremismo montante, di uscire da questa gabbia
smantellata dalle memorie televisive di Abu Ghraib, inghiottita fatalmente dal rogo della
follia liberatrice del teatro.

Giovanna al rogo- Lo schermo

Guido Mencari

…Lo spettatore si trova fisicamente insieme nella cella con Giovanna (l’attrice Elsa Bossi )
e i suoi carnefici (Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Andrea Jonathan Bertolai ), una cella di
terra battuta mattoni, archi che incorniciano l’angolo in cui la Pulzella di Orleans attende la
condanna a morte, tra visioni e ricordi, tra soprusi e umiliazioni. Una condizione di una
singola donna che con troppa facilità storicizziamo, collocandola in un passato che no è
ancora finito….La musica ci sbalza in diverse epoche. La scenografia, creata da graziano
Gregori, anticipa già le fiamme. Nera, bruciata, senza nessuna invenzione di salvezza;
conosciamo già la fine. Il semicerchio azzera qualsiasi prospettiva, ci costringe a rimanere
lì, faccia a faccia con tutto quello che abbiamo dato per scontato… Anche noi imprigionati
nel nostro mondo di disparità e ordini superiori. Carcerieri imprigionati in una matrioska di
ruoli sociali, sempre pronta a partorire un più debole, da sopraffare.
Se allo spettacolo di Maria Grazia Cipriani togliamo i nomi , le date, questo diventa
realtà,una realtà raccontata da qualche angolo di mondo, in qualche sotterraneo nemmeno
troppo lontano, in qualche lingua diversa dall’italiano o dall’inglese, che in Giovanna al
rogo si divincolano in una camicia di forza per superare anche la bandiera linguistica,
poiché la fisicità del grido di disperazione diventi anche una frase comprensibile in cerca di
comprensione.

Giovanna al rogo- Il Manifesto

Gianfranco Capitta

Il Teatro Del Carretto è una presenza discreta e schiva del teatro italiano. Produce da molti
anni spettacoli molto belli, nei quali Maria Grazia Cipriani ci racconta favole seducenti e
inquietanti usando gli attori, spesso i pupazzi, e sempre le bellissime scenografie (fatte di
oggetti, intagli e ritagli ) di Graziano Gregori. Chi assiste a un loro spettacolo non lo può
dimenticare.
...Protagonista è una creatura che di condanne ne ebbe molte, fino a quella suprema
dell’essere bruciata in piazza, Giovanna al rogo. E appena si è preso posto in platea, si
capisce di essere già dentro la cella definitiva della Pulzella di Orléans, costretta per altro a
condividerla con tre pessimi giovanotti, condannati altrettanto che lei, ma per colpe ben più
sanguinarie.
La scenografia di Gregori, che sbarra l’orizzonte dei prigionieri e del pubblico, è fatta di
pareti mobili e traditrici, perché in esse si aprono porte,scorrevoli, grate, tagli orizzontali
alla veneziana, da cui giungono luci ora fumose ora accecanti. Da quelle pareti lo stato
d’animo dei prigionieri è, se non comandato, certo influenzato ed esplicitato.
…Violenza e purezza, crudeltà e tenerezza, santità e peccato se la giocano dentro quelle
sbarre. E i quattro attori gagliardamente danno corpo a quei sentimenti, virtù e vizi in
acerrima lotta. Innanzitutto lei, Giovanna, ovvero Elsa Bossi, lisa e sospesa tra esaltazione e
paura, eppure fortissima e resistente, anche se le voci che notoriamente sente non
provengono necessariamente dal cielo (mago del suono è Hubert Westkemper ). E i tre suoi
compagni di cella, Nicolò Belliti, Andrea Jonathan Bertolai e Giacomo Vezzani, son capaci
di passare con un solo gesto dall’ingenuità giovanile alla più atroce crudeltà. Cipriani ha
scritto un testo assai bello, che omaggia appena Schiller e Claudel, ma fatto su misura per
lo spettacolo, la cui maggior forza sta proprio nella sua ambigua complessità. Anche
temporale, poiché tutto resta sospeso tra la costruzione di una consapevolezza e di una
condanna, e la tragedia già consumata, e immersa i una storia che tutto macina e tutto
ingloba.

Elsa Bossi, mistica Giovanna fra dolore e leggenda-pratoreporter.it

Niccolò Lucarelli

L’ultima notte di Giovanna d’Arco prima della morte sul rogo. Su questo solenne
quanto tragico momento si sofferma l’indagine teatrale, mistica e psicologica di
Maria Grazia Cipriani, che nell’applaudito spettacolo Giovanna al rogo, fa luce su
una figura entrata nella leggenda, ma che è stata strumento del potere.
Arrestata e condannata con l’accusa di eresia per delegittimare l’ascesa al trono di
Francia di Carlo VII, Giovanna finisce i suoi giorni sul rogo, vittima di un gioco
politico più grande di lei, sorretta però da un’incrollabile quanto commovente fede
cattolica.
Lo spettacolo si svolge interamente nella cella dove Giovanna è reclusa, guardata a
vista da tre sgherri rozzi e violenti … In quella cella oscura, rivive ossessivamente
la fasi del processo, fatto di interrogatori e torture. L’inquisizione – la voce fuori
campo di Dario Cantarelli – fa sentire il suo potere con solennità e calma violenza,
pronunciando condanne senza scomporsi.
…L’impostazione registica si concentra sull’aspetto mistico e religioso della
vicenda di Giovanna d’Arco, a voler sottolineare la sua ingenuità ed estraneità al
potere, ma qua e là …. si fa luce sull’umanità della protagonista , che è ancora
un’adolescente…. In attesa di morire, Giovanna rivive la sua esaltazione mistica, in
un’atmosfera quasi barocca accompagnata da canti sacri e suono di campane, che
ricorda le estasi dei santi del Bernini.
Non mancano comunque, sfumati richiami alla realtà dei nostri giorni. Giovanna è
prigioniera di guerra, e lo spettacolo offre un breve spunto di riflessione sul dramma
delle torture, ancora oggi praticate nelle carceri militari. Nella scena del waterboarding
ci sembra di rivedere immagini provenienti da Guantanamo o Abu Ghraib.
E tante sono le eroine femminili, soprattutto nel mondo arabo, usate per propaganda
e poi lasciate morire con l’accusa di blasfemia.
Particolarmente toccante il momento in cui l’eroina è sottoposta all’esame della
verginità, ricostruita dalla regista come fosse una deposizione di Cristo; pur nella
delicatezza dell’esame, condotto da suore, si tratta di una profonda violenza
psicologica … Di grande impatto anche la ricostruzione della morte sul rogo, che
non vediamo sul palco … ma descrive minutamente le fasi del rogo e l’umiliazione
alla quale è sottoposto il cadavere nudo della ragazza.
Elsa Bossi ci offre una Giovanna d’Arco androgina, fisica ed eterea insieme,
sospesa fra l’estasi delle visioni mistiche e l’atroce dolore inflittole dalle torture.
L’intensità dell’interpretazione coinvolge tutto il corpo, fino a creare una tensione
muscolare che richiama alla memoria la stessa tensione michelangiolesca. Nicolò
Belliti, Andrea Jonathan Bertolai, e Giacomo Vezzani, sono i tre sgherri che
recitano in gran parte in inglese sporco, popolare, affiancato alla fisicità con la
quale si muovono sul palco, espressione di bestialità, crudezza, forse anche
angoscia. L’incomprensione dell’altro resta il punto focale del rapporto fra loro e la
prigioniera. 

Il palco è ricoperto di materiale scuro, a imitazione della cenere che sarà sparsa sul
rogo imminente, così come le assi che costituiscono le pareti della cella sono
dipinte in modo da simulare le fiamme che avvolgeranno Giovanna. Un rogo che
non vediamo sul palco, ma che ci è comunque richiamato alla mente attraverso
un’affascinante quanto disturbante scenografia, che il chiaroscuro della debole
illuminazione contribuisce a mettere in risalto.
La canzone di Leonard Cohen che fa da colonna sonora a una visione che Giovanna
ha di San Michele Arcangelo, così come il brano Lilì Marlene, costituisce un
momento di magia temporale, di fantasia teatrale, perché il teatro, anche nei suoi
momento più drammatici, resta comunque un meraviglioso gioco. Alla chiusura del
sipario, meritati applausi ad una pièce che sa unire teatro civile, leggenda e poesia.