Iliade


da Omero
adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
scene e costumi Graziano Gregori
suoni Hubert Westkemper
luci Gianni Pollini
foto di scena Guido Mencari


Attori

Giovanni Balzaretti

Nicolò Belliti

Andrea Jonathan Bertolai

Elsa Bossi

Maria Vittoria Nervi

Fabio Pappacena

Giacomo Pecchia

Antonio Pomponio

Giacomo Vezzani

Appunti di regia

Il Teatro Del Carretto ricerca, entro le capacità espressive sin qui elaborate, la possibilità di percepire l’eco lontana della grande giostra eroica, portatrice nel patrimonio mitico occidentale dell’aspro emergere di una umana tragicità.

Lo spazio scenico è pensato per quanto possibile denudato di ogni appiglio all’arredo teatrale: l’incontro con l’ampio orizzonte omerico, spoglio di panorami o ambientazioni, assolutamente fertile all’irruzione di uomini e dei, sembra escludere qualsiasi aggancio illusionistico.

Così, in un’aria di mare, cicale e bronzi, l’attore perpetuamente in bilico tra sovrumana forza e morta carne trascinata, caricandosi di corazze e scudi straripanti di vittime in bassorilievo, assume sembianze d’eroe in un Artificio Teatrale senza retroscena.

E gli dei, concepiti come atroci bambini, esseri che conservano connotati somatici dell’infante, sono attori meccanici che avanzano in carri-nicchie o artigliano la schiena di un eroe filando la trama a metà tra l’innocenza bambinesca e la terribile, inaccessibile forma.

 

Maria Grazia Cipriani



Calendario

12—14 agosto 2020
Piazza Anfiteatro, Piazza Cittadella, Piazza S. Frediano
Lucca

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Recensioni

Un'affascinante affabulazione visiva

Rita Cirio- L'Espresso

..L’Iliade è un’affascinantissima affabulazione visiva raccontata da attori in carne ed ossa e da pupazzi meccanici...un inizio di guizzante bellezza: una pecora allatta il suo piccolo quando dal cielo saetta una lancia che la uccide.................................

Battaglie bellissime, duelli di altissima forza scenica, le allegorie e le similitudini omeriche sono visualizzate con belle suggestioni.

incanto e commozione

Simonetta Franci- Sipario

...Dobbiamo ringraziare il Teatro Del Carretto e la sua magnifica Iliade per aver suscitato incanto e commozione con un allestimento ricercato, corale, denso di studio progettuale e di lavoro artigianale...

Un insieme di rara ricercatezza

Paolo Lucchesini-La Nazione

...Una pecora mite bruca, ha al fianco il suo piccolo; un flebile belato attraversa il paesaggio, un idillio pastorale; lontano lo sciacquio del mare: è la pace che avvolge la città di Troia: una voce lontana scandisce, quasi sillaba “Cantami, o diva, del Pelide Achille...”. Un attimo, e piomba, folgore divina di Apollo, un’asta ferrigna che trafigge l’animale innocente: si squarcia il fondale su una visione di morte. E’ questo il primo suggestivo, ammaliante impatto con l’Iliade del Teatro Del Carretto: Immagine, movimento, artificio, da una parte, suono e parola, dall’altra, sono gli ingredienti, che sono stati fusi in un insieme teatrale esclusivo di rara ricercatezza, di sublime visualità, di intensa drammaticità.

Eleganza e violenza

Giovanni Raboni- Corriere della Sera

...I personaggi umani - gli eroi - conciliano, nella semplicità reiterata e stilizzata delle movenze, l’eleganza delle antiche pitture vascolari con una primitiva, raggelata violenza da automi: quasi invisibili, dapprima, sotto maschere e scudi che rendono ambigui e terribili i loro gesti, se ne spogliano a poco a poco sino ad apparire, infine, drammaticamente vulnerabili e spenti...                                                                                 

Bordate di poesia e brividi olimpici

Rita Sala- Il Messaggero

... Tutto è epico, pur se lo spettacolo rinuncia all’epica per istituzione, puntando invece a stuzzicare nello spettatore l’esaltazione individuale, la singola allucinazione, l’evocazione privata del Mito. Ebbene, dovremmo forse dimenticarcene, abbandonare la tentazione analitica per ricevere solo le bordate di poesia, i brividi olimpici, il freddo e il caldo di quest’Omero artificioso ma stranamente consanguineo dell’originale.....             

Una vera e propria partitura cinetico-visuale-uditiva degna di un grande complesso

Guido Davico Bonino- La Stampa

... E’ bello in un festival come quello dei Due Mondi, fare d’improvviso la scoperta di una compagnia come il Teatro Del Carretto di Lucca....Ma ciò che stupisce, affascina e in molte sequenze letteralmente emoziona è quanto vediamo e udiamo in scena: una vera e propria partitura cinetico-visuale-uditiva degna di un grande complesso...Scroscia il mare, tuona il cielo, gli dèi, come cavallette alate stridono nei loro tumultuosi concili (il suono è mirabilmente ricreato a Hubert Westkemper): e già Achille ed Ettore sono l’uno contro l’altro, il duello è d’una lentezza sacrale e tutta allusiva, è un cerimoniale crudele e pietoso ad un tempo. E pietosissima è l’immagine finale del vecchio Priamo, che si fa innanzi con un Ettore bambino tra le braccia che chiede misericordia per tutti quei morti. La guerra, lo spettacolo è finito, scoppia un uragano di applausi.

Stati emotivi di rara potenza

Giovanni Filona-Corriere Adriatico

...In tutti questi momenti, si resta colpiti dalla meraviglia che questo teatro, scandito dal tempo e aggrappato alla cultura dei popoli, riesca a far vivere ancora, dentro, stati emotivi di rara potenza. Che, poi, sarebbe la vera essenza del teatro come fonte di cultura...

Un segreto di violenza

Egidio Pani- La Gazzetta del Mezzogiorno

...Questa “Iliade” condensa in un’ora e 40 minuti di spettacolo, il grande poema omerico che è alle radici della nostra civiltà, e ci suggerisce che la grande epopea di guerrieri e di Dei cela un segreto di violenza che marca il nostro essere di oggi......                                                 

Inquieto e inquietante

Mauro Serio- Cultura Oggi

...uno spettacolo dal fascino inquieto e inquietante, ove il gesto statutario dell’attore, la parola onnisciente della voce fuori campo fissa e sublima le sequenze di un autentico dramma sacro...Non c’è psicologia, né vita in questi personaggi, simboli assoluti della frattura insanabile tra uomo destinato a scomparire inghiottito dalla morte e Dio, irresponsabile maligno fanciullo. C’è invece solo la storia, misteriosa danza di eventi ora beffardi, ora atroci, nella nebbia che vela la verità anziché rivelarla, sapiente divina regia di una tragedia senza colpevoli...                                                                                                                                                                 

Una rappresentazione tecnologica di antica memoria

Giovanni Ballerini- Paese Sera

...Il risultato non è un teatrino nel teatro, ma una rappresentazione tecnologica di antica memoria, in cui anche le creature inanimate prendono vita per illustrare i sentimenti e le paure umane e divine. Così, come nella mitologia, spesso la divinità prende le sembianze di un’entità del mondo animale e vegetale, ecco gli oggetti, le armature, le armi, gli scudi combattono essi stessi una battaglia, ma l’esito non cambierà e sarà morte, pazzia, disperazione...           

L’eroica impresa: l’Iliade del Teatro Del Carretto in scena dopo venticinque anni

Igor Vazzaz | 06 November 2013

Arcaica, atavica, terribile: la versione scenica di Iliade nasce da una sfida impossibile intrapresa dal Teatro Del Carretto nel 1988. Altri tempi, quando il Festival dei Due Mondi di Spoleto (e i festival in generale) si poteva permettere scommesse ardite, come quella di puntare su una talentuosissima compagnia di provincia senza santi in paradiso. Ne uscì uno spettacolo monstre, capolavoro che ha proiettato il Carretto nell’empireo della scena nazionale e non solo, con repliche a Mosca, Madrid, Lisbona. Nei dieci anni successivi, Iliade è stato il biglietto da visita per un gruppo unico, particolare, in grado di realizzare spettacoli sempre originali, senza mai cedere alle insidie dello stile acquisito. Oggi, nel trentennale del Teatro Del Carretto, segnato da quella Biancaneve che mai ha smesso di essere portata in scena dal gruppo, Iliade ritorna al Teatro del Giglio (venerdì e sabato alle 21, domenica alle 16.30), in un riallestimento basato sugli stessi materiali del 1988, gli stessi costumi “eroici” e sofferti, la stessa, abbacinante macchina scenica realizzata dalla maestria di Graziano Gregori.

Alla presenza del sindaco Alessandro Tambellini, del presidente del consiglio di amministrazione del Giglio Paolo Scacchiotti, del neodirettore generale Manrico Ferrucci, del direttore artistico Aldo Tarabella, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione dello spettacolo. Ospiti d’onore, al centro della scena (non a caso, il palco appena liberato dagli eroi achei e troiani, dopo la prima delle varie repliche scolastiche di questi giorni), la regista Maria Grazia Cipriani e il “più che scenografo” Gregori, ben felici di condividere con la stampa e tutti i convenuti le proprie impressioni su questa nuova sfida scenica e fare il punto della situazione sul teatro, sia Del Carretto sia in senso generale.

Apre la danza delle dichiarazioni Scacchiotti, che saluta il ritorno “a casa” della compagnia e tenta di tracciare un profilo del lavoro «complesso e certosino» compiuto dal gruppo, in collaborazione con i bravissimi tecnici del Giglio. Tambellini, per contro, rimarca il valore del contributo artistico del Carretto, sottolineando come la compagnia meriti «una collocazione nel tessuto lucchese anche oltre il teatro: un’idea che mi piacerebbe portare avanti». E che ci auguriamo possa davvero supportare nella pratica, al di là delle petizioni d’intenti. Il sindaco affronta anche il tema dello spettacolo: «Il fascino di Iliade rimane vivo, perché i fondamenti della vita degli uomini sono sempre gli stessi: amore, sofferenza, morte e fato, qualcosa che sovrasta la vita stessa».

Maria Grazia Cipriani, reduce dalla prima, dinanzi a oltre cinquecento studenti, si è dichiarata soddisfatta, assai più di quanto si aspettasse: «Avevo il terrore: non di loro, ma dei cellulari, delle possibili distrazioni. Ed è stata per me una grande emozione nel vederli rapiti da qualcosa che esula dal loro mondo, dagli strumenti cui sono abituati: si sono meravigliati della messa in scena, si sono lasciati guidare e, soprattutto, sorprendere. Merito di chi li ha preparati, ma anche di loro stessi, della loro sensibilità». Continua la regista: «Oggi riprendiamo Iliade per il nostro trentennale: lo riportiamo in scena ricordando che è ciò che ci ha portato sulle ribalte internazionali, insieme a Biancaneve, che continuiamo a riproporre con successo. Ma, per i nostri trent’anni, vorrei riuscire a fare anche un Amleto: festeggiare senza Shakespeare, per me, non è festeggiare».

Alla regista, si aggiunge Tarabella: «Voglio sottolineare l’importanza di un percorso svolto all’interno del Teatro del Giglio, che è davvero la casa del Teatro Del Carretto. Abbiamo messo in campo tutte le forze con impegno e partecipazione: abbiamo vissuto insieme la riapertura delle custodie dei costumi e delle scene, del riallestimento e del lavoro di restauro delicato e grandioso, dai grandi elementi scenici ai dettagli dei costumi. Trovare una collaborazione così fattiva ed efficace tra compagnia e maestranze di un teatro stabile non è cosa da poco, e va sottolineata».

Infine, è intervenuto chi scrive, in qualità di critico che, da tempo, segue sia l’attività del Giglio sia il percorso del Teatro Del Carretto. In occasione di Iliade, infatti, grazie anche alla collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo, è stato realizzato un progetto (Verso Troia. Sguardi sulle Iliadi del Teatro Del Carretto) in cui alcuni studenti universitari e medi superiori hanno seguito il riallestimento dello spettacolo fornendone una narrazione, in chiave sia critica sia emotiva, con interviste agli attori, ai realizzatori, materiale video e fotografico inedito. Il risultato del lavoro ha visto due concretizzazioni: la realizzazione di una “mappa orientativa” per lo spettacolo, cartacea, che sarà distribuita al pubblico delle repliche serali, e un sito (http://versotroia.wordpress.com/, andate a vederlo, merita), interamente realizzato dai ragazzi con interviste video, servizi fotografici, recensioni e reportage testuali.

Per conto nostro (citare sé stessi tra virgolette ci pare davvero troppo ridicolo), su sollecitazione dei presenti, abbiamo dichiarato quanto da tempo sosteniamo su queste colonne e pure altrove, ossia che il teatro, arte ineludibile, necessita comunque di presidio, programmazione, cultura (concetti mai stati in contrasto con lo sbigliettamento, spauracchio sin troppo sbandierato, talvolta), che il Teatro Del Carretto ben più che un riallestimento meriterebbe dalla città che li ha visti nascere, crescere e affermarsi, che il percorso intrapreso con Verso Troia è stato, grazie agli studenti (citiamoli per nome, come è giusto: Andrea Balestri, Davide Barsotti, Sara Casini, Mara Giammattei, Beatrice Manca, Ginevra Mangano, Elena Modena, Michele Petruzzi, Valentina Pierucci, Gemma Salvadori) e al magnifico lavoro, entusiasmante. Al di là delle parole, una dimostrazione pratica di come si possa (e, forse, si debba) agire davvero, per un teatro che non sia autoreferenziale e possa rivolgersi a tutti.

Iliade al Giglio: supremo destino e umanità

Gianmarco Caselli- Stampa Toscana | 11 November 2013

Uno spettacolo rimasto nella storia della compagnia teatrale lucchese Il Teatro del Carretto, riallestito per il trentennale della fondazione della compagnia stessa e messo in scena al Teatro del Giglio dall’8 al 10 novembre 2013. Una produzione che, dalla sua messa in scena del 1988 ad ora, ha comunque mantenuto la sua forza evocativa e “distruttiva”.

 

Lucca - L’allestimento del Carretto, con l'adattamento e regia di Maria Grazia Ciprani, è uno spettacolo con attori muti, le cui azioni sono scandite dal testo dell’Iliade recitato da voci registrate, mai asettiche, sempre cariche di intensa emozione anche nella gelidità con cui talvolta annunciano eventi terribili. E gli attori restano con le labbra chiuse, congelati in pose quasi scultoree: si muovono a scatti con movimenti quasi robotici e spesso sono “attivati” da strutture, da macchinari, come se l’uomo non fosse artefice del proprio destino, ma fosse invece mosso da qualcosa più forte di lui, da un qualche burattinaio che ne muove i fili. Già: ecco quindi irrompere nella scena le divinità, esseri quasi da film dell’orrore con voci demoniache, che dirigono le terribili azioni che si svolgono sulla terra.

E quel che si svolge sul pianeta terra è una guerra che non lascia scampo, una guerra con un implacabile e inarrestabile scambio di ruoli continuo fra vittime e carnefici, con gli uomini che da automi diventano bestie, mostri infernali assetati di sangue: difficile parlare di “eroi”. Alla fine ecco irrompere sulla scena una donna, Andromaca, che si dispera per la morte imminente del proprio figlio: per la prima volta dall’inizio dello spettacolo sentiamo una voce non registrata, è il primo personaggio che parla, quasi come per cercare di interrompere il meccanismo implacabile della guerra; Andromaca è la prima voce veramente umana che umanamente vede la guerra, non ne comprende le ragioni e si dispera per i lutti che essa porta. Una chiusura di speranza, ma anche di amarezza e di rassegnazione.
 

Miseria umana e destino funesto: l’Iliade al Petruzzelli

Giuseppina Raco- Made in Italy | 17 October 2013

Ieri è andata in scena l’anteprima regionale de l’Iliade con la regia di Maria Grazia Cipriani con la compagnia teatrale Teatro del Carretto al Teatro Petruzzelli  di Bari con il coordinamento del Teatro Pubblico Pugliese. Una rivisitazione del cavallo di battaglia della compagnia dell’88. Il dramma inizia da un momento preciso: “l’ira funesta del pelìde Achille”. Tutta l’azione scenica è concentrata sulla guerra e la sua bestialità giocata tra miseria umana e capricci degli dèi che si divertono tra risa e cicaleggi infantili che ingombrano lo spazio scenico e godono mentre gli umani versano il loro sangue in battaglia. Di qui la riflessione circa l’inutilità della guerra. La vera suggestione che arricchisce questa rivisitazione dell’88 trasformandolo in uno spettacolo coinvolgente è l’uso di bambole meccaniche che personificano gli dèi con una versione orientaleggiante, la rievocazione del mare, del vento,  del sangue e del dolore umano attraverso accorgimenti scenici che si gustano attraverso la narrazione di una voce off che riprende fedelmente il poema omerico. Emozionante la lotta tra  Ettore e Achille che avviene metaforicamente tra un toro e un leone che trasudano rabbia e mangiano le carni: bestializzazione umana. E ancor prima, emozionante il lamento di Andromaca che compiange in una “cronaca di una morte annunciata” la dipartita dell’amato marito. Unico attore parlante a cui la voce fuori campo dà spazio è la voce di una donna, una madre che piange la morte del suo bambino. Il Teatro del Carretto, dopo trent’anni di attività, rinsalda la sua forza scenica che nasce dal sodalizio dell’83 tra Maria Grazia Cipriani e lo scenografo Graziano Gregori che abilmente hanno saputo creare una fusione tra umano e meccanico proprio a voler marcare una suggestione tra mitologia e favola. Così si era espresso Vittorio Gassmann: “… Aristocratico e popolare: un’endiadi rara e in questo spettacolo del Teatro Del Carretto perfettamente raggiunta. A parte lo stimolante stile prescelto per la dizione del testo, colpisce la compattezza delle soluzioni plastiche e gestuali, la forte icasticità dei mutamenti scenici e coreografici, la raffinatissima resa di alcuni vertici della vicenda …”. Stasera andrà in scena il secondo turno.

Una bottega postrinascimentale

Vittorio Gassman

Che Felicità artistico-artigianale promana dall’Iliade del Teatro Del Carretto!

L’assunzione del senso epico vi è risolta attraverso i materiali umili del lavoro eseguito a mano, di una fantasia metaforica che testimonia in ogni suo elemento la partecipazione globale di una fantasia metaforica che testimonia in ogni suo elemento la partecipazione globale di un’èquipe, di una bottega postrinascimentale.

Si sente, traspira dalla rappresentazione una stretta integrazione all’epos omerico, raggiunta non con i modi aulici della ricostruzione o dell’astrazione intellettuale ma con quelli, assai più persuasivi, di un procedimento analogico che –sintetizzando e fisicamente concretando in “gesti” ed “oggetti” espressivi l’alto senso poetico del testo – rende ogni aspetto della vicenda perspicuo e tangibile come si conviene ad un grande spettacolo popolare.

Ecco: aristocratico e popolare, un’endiadi rara e qui perfettamente raggiunta

(...)”

ILIADE, del Teatro del Carretto, inaugura la Stagione del Teatro Pubblico Pugliese.

Maria Caravella- Puglialive | 18 October 2013

Inaugurata con successo al Teatro Petruzzelli di Bari la Stagione 2013 2014 del Teatro Pubblico Pugliese.

Sul palcoscenico "Iliade" del Teatro del Carretto, nell'adattamento e regia memorabile di Maria Grazia Cipriani, abile firma dello strepitoso Amleto in scena a Bari nel 2012.
Una proposta di repertorio datata 1988 portata nello stesso anno al Petruzzelli con le scene di Graziano Gregori. Una Scenografia di primo acchito essenziale e simbolica, in un continuo crescendo di trovate sceniche originali ed esilaranti.
Sul palcoscenico attori veri e attori meccanici, armature, pupazzi semoventi, scudi scolpiti, destrieri e marchingegni a vista che si aprono, si trasformano, moltiplicano gli spazi e tanti giochi di luce. Dove la declamazione dei versi omerici diventa protagonista imprescindibile.
Giochi di luce e feticci scenici, circondano l'eroe, unico protagonista che con l'arte della narrazione riesce a coinvolgere il pubblico curioso ed interessato alla guerra che si gioca e si combatte a Teatro.
Le vicende del mondo ellenico riaffiorano nella esercitazione oratoria dei versi e man mano permettono quasi per incanto la materializzazione dei numerosi personaggi. Le voci fuori campo continuano a far da padrone durante lo svolgimento dell'intera performance.
I personaggi sfilano sulla scena, quali meri esecutori della commedia umana, che inesorabilmente si esplica senza possibilità di replica. Tutto risuona in una ecatombe senza ritorno.
Di notevole effetto gli oggetti scenici, maschere comprese, che efficacemente riproducono la sincronia della battaglia.
Imponenti porte scorrevoli o giganteschi teli sullo sfondo, si aprono e si chiudono, liberando diversi quadri scenici che sviluppano le situazioni narrate quasi fossero icone surrealiste, che inaspettatamente si materializzano e poi facilmente recedono dando il posto ad altri contesti .
Pièce dai tempi scenici abilmente dosati, un’ora e mezza di spettacolo senza intervallo, che con successo ha dato l’incipit ad una Stagione rappresentativa, sia di nomi importanti, sia di autori autorevoli da portare in scena.
Una grande soddisfazione per il Teatro Pubblico Pugliese che ha visto, in un periodo di crisi, un incremento degli abbonamenti di quasi il trenta per cento, e la soddisfazione di avere una stagione non più itinerante come negli anni passati,da quando il Teatro Piccinni è in restauro, ma una stagione interamente rappresentata al Teatro Petruzzelli .

A fascinating visual tale

Rita Cirio- L'Espresso

...The “ILIAD” is a fascinating visual tale told by real actors and mechanical puppets... It begins with a guivering beauty: a sheep is suckling its little one when from the sky a spear is thrown and kills it...beautiful battles, duels of a highly scenic force, the allegories and the Homeric similarities are visualized with lovely suggestions.....           

A magnificient Iliad

Simonetta Franci- Sipario

...we must thank Teatro Del Carretto and its magnificent ILIAD for stirring up enchantment and emotions with a refined stage production, done by a team, thick with schematic study and artisan work...

Elegance and violence

Giovanni Raboni- Corriere della Sera

...The human characters - the heros - reconcile in the reiterated and stylized semplicity of movements, there is an elegance in the antigue images of a primitive, freezing violence by automans; almost invisible at first, behind masks and shields that make their gestures ambiguous and terrible, they undress bit by bit, until they appear, ultimately, dramatically vulnerable and extinguished.......

An exclusive theatrical unity of rare refinement

Paolo Lucchesini-La Nazione

...A meek sheep grazes, at its side its little one; a faint bleat crosses the scenary, a pastoral idyll; faraway the sound of the sea: it is peace that envelopes the city of Troy. A far-off voice rytmically, almost in syllables, calls out “Sing to me, oh star, of Pelide Achilles...”.One moment, then the divine lightening of Apollo strikes, an iron pole piercing the innocent animal: a vision of death tears across the back-drop. This is the first impact, suggestive and bewitching, of ILIAD by Teatro Del Carretto. Images, movement, artificiality on the one hand, sounds and words on the other; these are the ingredients that have malted together into an exclusive theatrical unity of rare refinement, of sublime visuality, of intense dramatics....

A bombardment of poetry and olimpyc chills

Rita Sala- Il Messaggero

...All is epic, even though the performance renounces the epic as institutional, aiming instead to stimulate the individual exaltation, the single hallucination, the private evocation of the myth. And so, should we forget it all, abandon the analitic temptation in order to receive the bombardment of poetry and olimpyc chills, the cold and hot of this Homer, artfully refined, yet strangely consanguineous to the original...

An astonishing performance

Rodolfo Di Giammarco -La Repubblica

...An astonishing performance, intense, thanks to the production and adaptation by Maria Grazia Cipriani, and to that wizard of scenography, costume design and mechanical art - Graziano Gregori. Very good all nine of the actors...    

A real audio-visual kinetic score

Guido Davico Bonino- La Stampa

...It’s beautiful that in a festival like the “Two Worlds” (Due Mondi), one can unexpectedly discover a company like Teatro Del Carretto of Lucca. But the thing that is amazing, fascinating, and in many sequences, literally emotional, is what is seen and heard on stage: a real audio-visual kinetic score worthy of a grand company...

...The sea roars, the sky thunders, the gods, like winged grasshoppers, wirk in their tumultuous councils (the sound is admirably recreated by Hubert Westkemper) : and already Achilles an Hector are at each other, the duel is sacredly slow and all allusive, it’s a cerimony, cruel and merciful at the same time. And so compassionate is the final image of old PRIAMO, with a Hector-child in his arms (a pinkish mannequin), asking for pity for all those dead. The war, the performance is finisched, now and then a hurricane of applause explodes.    

ILIAD, a technological representation of antique memory

Giovanni Ballerini- Paese Sera

...ILIAD, a technological representation of antique memory, where even the inanimate creatures take on a life form so as to illustrate human and divine feelings and fears. So, as in mythology, the gods often take on the appearance of an entity from the animal and vegetable world, and here are the objects, the armour, the arms, the shields fight themselves a battle, but the outcome will not be changed and it will be death, madness, despair...

A performance of uneasy and disturbing fascination

Mauro Serio- Cultura Oggi

...A performance of uneasy and disturbing fascination, where the statuesque gestures of the actor, the omniscient word of the off-stage voice fixes and sublimates the sequence on an authentic sacred drama... ...There is no psychology, no life, in these characters, absolute symbols of an incurable split between man destined to disappear swallowed up by death, and god, irresponsible, malicious youth. Instead there is only the story, mysterious dance of events, now mocking, now atrocious, fog that wails the truth instead of revealing it, divine sage, director of a tragedy without guilty ones.

A secret of violence

Egidio Pani- La Gazzetta del Mezzogiorno

...this ILIAD, condensed into 1 hour and 40 minutes of performance, recounts the great Homeric poem which is at the roots of our civilization, and suggests that the great heroic deads of warriors and gods conceal a secret of violence that marks our existence today... 

L'eroica impresa:l' Iliade del Teatro Del Carretto in scena dopo 25 anni

Igor Vazzaz | 06 November 2013

(english version coming soon)

Arcaica, atavica, terribile: la versione scenica di Iliade nasce da una sfida impossibile intrapresa dal Teatro Del Carretto nel 1988. Altri tempi, quando il Festival dei Due Mondi di Spoleto (e i festival in generale) si poteva permettere scommesse ardite, come quella di puntare su una talentuosissima compagnia di provincia senza santi in paradiso. Ne uscì uno spettacolo monstre, capolavoro che ha proiettato il Carretto nell’empireo della scena nazionale e non solo, con repliche a Mosca, Madrid, Lisbona. Nei dieci anni successivi, Iliade è stato il biglietto da visita per un gruppo unico, particolare, in grado di realizzare spettacoli sempre originali, senza mai cedere alle insidie dello stile acquisito. Oggi, nel trentennale del Teatro Del Carretto, segnato da quella Biancaneve che mai ha smesso di essere portata in scena dal gruppo, Iliade ritorna al Teatro del Giglio (venerdì e sabato alle 21, domenica alle 16.30), in un riallestimento basato sugli stessi materiali del 1988, gli stessi costumi “eroici” e sofferti, la stessa, abbacinante macchina scenica realizzata dalla maestria di Graziano Gregori.

Alla presenza del sindaco Alessandro Tambellini, del presidente del consiglio di amministrazione del Giglio Paolo Scacchiotti, del neodirettore generale Manrico Ferrucci, del direttore artistico Aldo Tarabella, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione dello spettacolo. Ospiti d’onore, al centro della scena (non a caso, il palco appena liberato dagli eroi achei e troiani, dopo la prima delle varie repliche scolastiche di questi giorni), la regista Maria Grazia Cipriani e il “più che scenografo” Gregori, ben felici di condividere con la stampa e tutti i convenuti le proprie impressioni su questa nuova sfida scenica e fare il punto della situazione sul teatro, sia Del Carretto sia in senso generale.

Apre la danza delle dichiarazioni Scacchiotti, che saluta il ritorno “a casa” della compagnia e tenta di tracciare un profilo del lavoro «complesso e certosino» compiuto dal gruppo, in collaborazione con i bravissimi tecnici del Giglio. Tambellini, per contro, rimarca il valore del contributo artistico del Carretto, sottolineando come la compagnia meriti «una collocazione nel tessuto lucchese anche oltre il teatro: un’idea che mi piacerebbe portare avanti». E che ci auguriamo possa davvero supportare nella pratica, al di là delle petizioni d’intenti. Il sindaco affronta anche il tema dello spettacolo: «Il fascino di Iliade rimane vivo, perché i fondamenti della vita degli uomini sono sempre gli stessi: amore, sofferenza, morte e fato, qualcosa che sovrasta la vita stessa».

Maria Grazia Cipriani, reduce dalla prima, dinanzi a oltre cinquecento studenti, si è dichiarata soddisfatta, assai più di quanto si aspettasse: «Avevo il terrore: non di loro, ma dei cellulari, delle possibili distrazioni. Ed è stata per me una grande emozione nel vederli rapiti da qualcosa che esula dal loro mondo, dagli strumenti cui sono abituati: si sono meravigliati della messa in scena, si sono lasciati guidare e, soprattutto, sorprendere. Merito di chi li ha preparati, ma anche di loro stessi, della loro sensibilità». Continua la regista: «Oggi riprendiamo Iliade per il nostro trentennale: lo riportiamo in scena ricordando che è ciò che ci ha portato sulle ribalte internazionali, insieme a Biancaneve, che continuiamo a riproporre con successo. Ma, per i nostri trent’anni, vorrei riuscire a fare anche un Amleto: festeggiare senza Shakespeare, per me, non è festeggiare».

Alla regista, si aggiunge Tarabella: «Voglio sottolineare l’importanza di un percorso svolto all’interno del Teatro del Giglio, che è davvero la casa del Teatro Del Carretto. Abbiamo messo in campo tutte le forze con impegno e partecipazione: abbiamo vissuto insieme la riapertura delle custodie dei costumi e delle scene, del riallestimento e del lavoro di restauro delicato e grandioso, dai grandi elementi scenici ai dettagli dei costumi. Trovare una collaborazione così fattiva ed efficace tra compagnia e maestranze di un teatro stabile non è cosa da poco, e va sottolineata».

Infine, è intervenuto chi scrive, in qualità di critico che, da tempo, segue sia l’attività del Giglio sia il percorso del Teatro Del Carretto. In occasione di Iliade, infatti, grazie anche alla collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo, è stato realizzato un progetto (Verso Troia. Sguardi sulle Iliadi del Teatro Del Carretto) in cui alcuni studenti universitari e medi superiori hanno seguito il riallestimento dello spettacolo fornendone una narrazione, in chiave sia critica sia emotiva, con interviste agli attori, ai realizzatori, materiale video e fotografico inedito. Il risultato del lavoro ha visto due concretizzazioni: la realizzazione di una “mappa orientativa” per lo spettacolo, cartacea, che sarà distribuita al pubblico delle repliche serali, e un sito (http://versotroia.wordpress.com/, andate a vederlo, merita), interamente realizzato dai ragazzi con interviste video, servizi fotografici, recensioni e reportage testuali.

Per conto nostro (citare sé stessi tra virgolette ci pare davvero troppo ridicolo), su sollecitazione dei presenti, abbiamo dichiarato quanto da tempo sosteniamo su queste colonne e pure altrove, ossia che il teatro, arte ineludibile, necessita comunque di presidio, programmazione, cultura (concetti mai stati in contrasto con lo sbigliettamento, spauracchio sin troppo sbandierato, talvolta), che il Teatro Del Carretto ben più che un riallestimento meriterebbe dalla città che li ha visti nascere, crescere e affermarsi, che il percorso intrapreso con Verso Troia è stato, grazie agli studenti (citiamoli per nome, come è giusto: Andrea Balestri, Davide Barsotti, Sara Casini, Mara Giammattei, Beatrice Manca, Ginevra Mangano, Elena Modena, Michele Petruzzi, Valentina Pierucci, Gemma Salvadori) e al magnifico lavoro, entusiasmante. Al di là delle parole, una dimostrazione pratica di come si possa (e, forse, si debba) agire davvero, per un teatro che non sia autoreferenziale e possa rivolgersi a tutti.

Una bottega postrinascimentale

Vittorio Gassman

english version coming soon

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Che Felicità artistico-artigianale promana dall’Iliade del Teatro Del Carretto!

L’assunzione del senso epico vi è risolta attraverso i materiali umili del lavoro eseguito a mano, di una fantasia metaforica che testimonia in ogni suo elemento la partecipazione globale di una fantasia metaforica che testimonia in ogni suo elemento la partecipazione globale di un’èquipe, di una bottega postrinascimentale.

Si sente, traspira dalla rappresentazione una stretta integrazione all’epos omerico, raggiunta non con i modi aulici della ricostruzione o dell’astrazione intellettuale ma con quelli, assai più persuasivi, di un procedimento analogico che –sintetizzando e fisicamente concretando in “gesti” ed “oggetti” espressivi l’alto senso poetico del testo – rende ogni aspetto della vicenda perspicuo e tangibile come si conviene ad un grande spettacolo popolare.

Ecco: aristocratico e popolare, un’endiadi rara e qui perfettamente raggiunta

(...)”

Verso Troia - Sguardi sulle Iliadi del Teatro Del Carretto

Nel 1988 Iliade debuttava a teatro. Venticinque anni, nove spettacoli e svariati premi dopo, il Teatro Del Carretto riallestisce questo spettacolo a Lucca, la città che lo ha visto sorgere e crescere.

In questi venticinque anni è cambiato tutto: la consapevolezza del duo fondatore, Maria Grazia Cipriani e Graziano Gregori, cambiati gli attori, il modo di produrre e di fare teatro; ma, soprattutto, è cambiato il pubblico – chi vi scrive all’epoca non era nemmeno nato – e, quindi, l’impatto che l’opera potrà avere sullo spettatore.

Partendo da questa riflessione, il presente contributo nasce con l’intento di gettare una pluralità di sguardi al prima e all’ora, al lavoro della compagnia fra ieri e oggi, abbracciando tanto l’aspetto umano quanto quello scenico.

Cosa comporta riportare in scena uno spettacolo composito come Iliade, a così tanti anni di distanza? Creatura indomita, multiforme, epica e fragile al contempo, ingegnosa macchina ove legno e corpi si fondono per riportare in vita l’eco di un passato eroico, Iliade si presenta al pubblico in tutta la sua vulnerabile forza, legata a un filo tra presente e passato.

 

Verso Troia- Sguardi sulle Iliadi del Teatro Del Carretto è un progetto condotto da Igor Vazzaz

https://versotroia.wordpress.com/guida-alla-lettura-di-iliade/

https://www.facebook.com/versotroia

 

Il passato nel presente.

Gabriella De Marco- La Rivista di Engramma | 17 April 2021

Il passato nel presente. Triumphs and Laments di William Kentridge nella lettura di Salvatore Settis (passando per un’Iliade teatrale)

 

Leggendo Incursioni, recente quanto corposo volume di Salvatore Settis, mi è tornato in mente, per un personale percorso di associazioni, il potente allestimento dell’Iliade messo in scena dal Teatro Del Carretto, per l’adattamento e la regia di Maria Grazia Cipriani. Non so se lo studioso conosca e apprezzi il lavoro della compagnia toscana e, in particolare, la rilettura dell’Iliade. Tuttavia, non è questo il punto, non è questo l’aspetto importante. Il mio libero quanto arbitrario accostamento, pur non avendo nulla di filologicamente fondato, ha preso forma dalle riflessioni sulla memoria culturale sollecitate dal testo di Settis. Tema presente, a mio parere, pur nelle evidenti diversità, nella ricerca del gruppo teatrale di Lucca. Il rapporto di continuità nelle arti con la memoria dell’antico, con il passato, con la tradizione – intesa nell’accezione etimologica del termine – è una sorta di fil rouge che ha guidato, con coerenza, la ricerca di Settis riverberandosi, anche, nelle pagine del libro.

Tra gli spunti di Incursioni vi è la convinzione, che tra ‘antico’ e ‘contemporaneo’ non c’è netta frattura, ma una perpetua tensione, che continuamente si riarticola nel fluire dei linguaggi critici e del gusto, nei meccanismi di mercato, nel funzionamento delle istituzioni, nella “cultura popolare”. Un’affermazione pregna di sfumature, aperta a molteplici livelli di lettura, che meriterebbe una giornata di studi. Tuttavia, per tornare al libro, l’autore evidenzia come, nonostante questa continuità, l’età contemporanea, spesso, attui una sorta di tabula rasa con il passato negando, a favore del cambiamento dei sistemi di rappresentazione, quel fluire ininterrotto di una tradizione che si rinnova nel presente.

Settis ribalta, dunque, quello che è un uso riduttivo del termine ‘tradizione’, sinonimo, sovente, di una consuetudine normalizzante, cui si sostituisce, come contraltare, l’originalità della novità e della rottura a tutti i costi. Un’opinione corrente a cui lo studioso si oppone sostenendo come la tradizione sia, al contrario, trasmissione dei saperi tramandata nei secoli, e che, come tale, abbia prodotto non immobilità ma cambiamento, generando, come ho già citato, quella “perpetua tensione che continuamente si riarticola nel fluire dei linguaggi critici e del gusto” (Incursioni, alla pagina 11). Una tensione che ritrovo, per tornare alla mia digressione iniziale, nell’adattamento dell’Iliade, pretesto del mio ragionamento a partire dal libro di Settis.

La mise en scène del Teatro Del Carretto esprime, stabilisce, persegue un rapporto con la memoria del passato inteso non come un nostalgico vagheggiamento di un tempo ormai perduto, ma come consapevolezza del presente. Un presente volto a coniugare il mito, la memoria, l’antropologia culturale, il ricordo personale, con la storia. La riscrittura proposta dalla compagnia di Lucca, eco lontana del grande poema epico, è centrata sul confronto tra la tragicità propria della condizione umana e la natura sovrumana degli dei. Una condizione di lontananza dagli dei che relega l’uomo in una dimensione terrena e finita.

Una situazione evidenziata dalla Compagnia toscana che attinge al crogiolo del mito sedimentato attraverso i secoli nell’immaginario collettivo degli occidentali. Una rappresentazione dal forte tasso evocativo che, tuttavia, mai diviene vernacolo. Ciò grazie, anche, all’ideazione di uno spazio scenico potente ed essenziale che suggerisce, per l’originalità e l’intelligenza creativa del suo autore Graziano Gregori, un’idea di antica terribilità. Una scena abitata da soli uomini e dei, resi sia in carne ed ossa sia da ‘attori artificiali’ che, in un avvincente tessuto fitto di fonti dirette e indirette, include, anche, le avanguardie storiche del primo Novecento. Iliade, quindi, può ritenersi un esempio mirabile di quella capacità di coniugare e tramandare, pur attraverso la creazione di un universo immaginifico ma non destorificato, le fonti della nostra cultura con l’urgenza del presente. Il passato, dunque, non è un calco, sembra ricordarci il Teatro Del Carretto la cui ricerca, nel suo rinnovarsi, attinge alle fonti del passato, nutrendo l’attualità del nostro tempo.

Analogamente a quanto ci dice, pur se mediante percorsi diversi, William Kentridge attraverso Triumphs and Laments, il grande fregio allestito, a Roma, sugli argini del Tevere, certamente tra le più significative opere di arte urbana del nostro tempo. Ma le riflessioni legate alla memoria culturale inducono a un’altra considerazione: la memoria, è noto, è anche memoria selettiva e come tale implica, necessariamente, uno stretto rapporto con l’oblio sia sul piano del ricordo personale, sia su quello della memoria sociale (Assmann [1999] 2002).

La memoria e l’oblio, quindi, per parafrasare Wisława Szymborska, sono, “una coppia ben assortita” (Szymborska 2012). Non si tratta di stabilire, pertanto, quanto passato sia racchiuso nell’opera di un autore, quanto piuttosto ‘quale passato’ sia racchiuso in un’opera. L’eredità di quello che si definisce genericamente come ‘l’antico’ non è sempre presente in maniera permanente e simultanea nella coscienza personale e in quella collettiva; ciò significa affrontare il rapporto con il tempo della storia e con la selezione delle fonti.

L’individuazione, la selezione e la costruzione delle fonti sono alla base del complesso, quanto accurato, lavoro di Kentridge. Triumphs and Laments è espressione incontestabile di come storia e filologia diventino sia nella prassi artistica sia nella prospettiva storiografica, una sorta di stella polare come conferma la lettura che ne fa Settis in Incursioni, dalle cui pagine affiorano temi e categorie centrali nella teoria critica del Novecento e dei nostri giorni (Assmann [1999] 2002; Benjamin [1934] 1973; Bloom [1994] 2000; Bourriaud [1998] 2010; Bürger [1974] 1990; Danto [1992] 2010; Lyotard [1979] 1991).

Incursioni ha, dunque, colpito nel segno avviando una fitta serie di ragionamenti destinata, probabilmente, a farsi, a divenire, sistema. E in ciò risiede la forza, l’impatto di questo prezioso volume, come confermano le molte e avvincenti finestre tematiche che si aprono a partire dalla lettura del fregio realizzato da William Kentridge sui muraglioni del Tevere. Non ripercorrerò su queste pagine le vicende, le caratteristiche, l’ampio apparato iconografico e iconologico ricostruito con accuratezza filologica da Settis e che di per sé costituiscono un esempio di metodo applicato agli studi storici di arte contemporanea. Mi interessa, invece, evidenziare alcuni aspetti importanti che, a partire dal fregio, aprono una vasta gamma di implicazioni. Prenderò in considerazione proprio le pagine finali del saggio dove l’autore inserendo l’opera in un più ampio contesto internazionale che spazia dai murales alla street art, dall’installazione all’arte pubblica propone un’apparente deviazione dall’intervento ‘romano’ del grande artista sudafricano citando un passo da Monumenti di Robert Musil:

[…] la cosa più strana dei monumenti è che non si notano affatto. Nulla al mondo è più invisibile. Non c’è dubbio che essi sono fatti per esser visti, anzi per attirare l’attenzione; ma nello stesso tempo hanno qualcosa che li rende, per così dire, impermeabili, e l’attenzione vi scorre sopra come le gocce d’acqua su un impermeabile, senza arrestarsi un istante […]. Per farsi notare, insomma i monumenti dovrebbero darsi da fare come tutti noi (Incursioni, alla pagina 335).

Sparigliando le carte, Settis ci distoglie da Kentridge e dal suo intervento di arte urbana per affrontare, con la complicità del grande scrittore, alcuni nodi irrisolti, eppur urgenti, di molte città contemporanee e di Roma in particolare. Ma la divagazione dello studioso è, infatti, soltanto apparente perché non solo ci riconduce al forte impatto impresso sul territorio capitolino dal lavoro dell’artista di Johannesburg, ma perché si fa, come tutto il volume, sensore dell’attualità.

I monumenti, e concordo, attraverso Settis, con Musil, erano diventati sempre più, nella percezione collettiva, da simboli del potere, da polarità urbane dalla forte connotazione celebrativa e identitaria, a spazi neutrali, anonimi, muti e spesso incongrui con i ritmi, con il fluire della città contemporanea. Fatte, dunque, alcune importanti eccezioni, i monumenti sembravano aver perduto la funzione di senso, il rapporto di necessità con il contesto che li accoglieva. Sia che si trattasse di scultura o di un’opera architettonica sia di un’installazione o di un intervento site-specific, avevano smarrito, sovente, il rapporto fondante con il luogo e con la memoria del luogo (Gallerani 2002; De Marco 2002; De Marco 2020).

Ma se la solitudine del monumento costituisce un aspetto innegabile di molte realtà urbane condizionando, anche, la fruizione del cittadino, il marmo, la pietra e il bronzo non sono immutabili come siamo portati, spesso, a pensare (Bourriaud [1998] 2010; De Marco 2016; Lowe [2020] 2021). Al contrario, confermano ancora una volta, come la memoria sia sempre dinamica, come dimostrano le immagini che, sempre più di frequente, provengono dalla carta stampata, dai telegiornali e dal web e che raccontano di graffiti, di scarabocchi, di rovesciamenti di statue e monumenti legati al passato coloniale, schiavista e razziale di molti Paesi.

La caduta, il rovesciamento iconoclasta a cui sono, oggi, soggetti molti monumenti e statue del passato ne ribalta la percezione ormai consolidata facendoli diventare da luoghi silenti a luoghi della divisione e dello scontro sociale il cui ribaltamento e/o distruzione aggiunge nuovi strati di significato. L’abbattimento di simboli e personalità considerate fondanti mette in luce, proprio attraverso la furia della contestazione, come il punto di vista della storia sia disseminato di insidie, di strascichi irrisolti che non vanno ignorati, negati o rimossi ma riletti (Isnenghi 2004; Romano 2015; Nacci 2019).

Spetterà, pertanto, anche agli storici dell’arte fornire utili quanto preziose chiavi di lettura su questi avvenimenti (De Marco 2019 e De Marco 2020). Ciononostante, quella che era ritenuta opportunamente l’invisibilità del monumento, per tornare alle raffinate pagine di Settis che cita Musil, è spunto funzionale alle argomentazioni dell’archeologo perché gli permette di suggerire l’analogia con Roma, una città ricca di storia che stenta, oggi, a farsi notare perché incapace di recuperare, di attivare, una nuova progettualità.

Città eterna per antonomasia, Roma è “Roma-città” e “Roma-mondo”, per ricordare una definizione cara a Lotman, e come tale può essere paragonata solo a Gerusalemme, altro luogo simbolo, dal forte potere di fascinazione (Giardina, Vauchez 2000; Lotman 1985). Nel contesto romano, scrive Settis, nulla come Triumphs and Laments ha mostrato, di recente, una capacità di riattivare i meccanismi della memoria visuale, in una città sovraccarica di monumentalità e di storia, e forse proprio per questo, aggiungo, incline a non guardare, a non ricordare. Kentridge, al contrario, ci costringe a ricordare, a riflettere. Nella lunga sequenza disegnata sulle sponde del Tevere si volge, anche, al passato non appiattendolo in letture affrettate. L’artista, infatti, non banalizza perché attinge al tempo della storia, selezionando e prendendo posizione, offrendo più livelli di interpretazione e realizzando un intervento che, nonostante la sua voluta natura effimera, è destinato a durare.

Non un intervento calato dall’alto, dunque, ma un progetto accurato che ha stabilito un rapporto di necessità, di pertinenza con il luogo. Ciò paradossalmente proprio nell’essere anti-monumento. L’artista ci ha messo di fronte alla storia con un segno non invasivo, non inutilmente narcisistico ma rispettoso dell’ambiente, conciliando la transitorietà con il valore culturale della perennità. Kentridge, per concludere con le parole di Paul Éluard, ha dato forma, da grande artista qual è, a “le dur désir de durer”.

 

http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=4149&fbclid=IwAR3D0s1oeXZxuDQ48L0mSdPGaSGoQc7iTux9lPycMIPKtq1jg22JemmNuOI#de%20marco

Uno spettacolo stupefacente

Rodolfo Di Giammarco -La Repubblica

...Uno spettacolo stupefacente, intenso, dovuto alla regia e all’adattamento di Maria Grazia Cipriani e a quel mago della scenografia, del costume e dell’arte meccanica che è Graziano Gregori. Bravi tutti e nove gli attori...