Amleto


da William Shakespeare
adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
scene e costumi Graziano Gregori
suoni Hubert Westkemper
luci Angelo Linzalata
foto di scena Filippo Brancoli Pantera


Attori

Alex Sassatelli

Elsa Bossi

Giacomo Vezzani

Giacomo Pecchia

Nicolò Belliti

Carlo Gambaro

Jonathan Bertolai

Appunti di regia

Abbiamo letto il testo nella prospettiva del protagonista, con le altre figure, fantasmatiche o reali, filtrate dalla sua sensibilità o dalla sua immaginazione: proiettando il dramma come in un sogno… in una riscrittura che attraverso spostamenti, cesure e montaggi caratterizzi una struttura che pur dal taglio quasi cinematografico, metta in evidenza o infranga ogni convenzione teatrale, sempre sovrapponendo moto tragico a moto comico e che lasci l'interpretazione psicanalitica come quella politica visibili in trasparenza, per mettere in luce il dramma dell'uomo oppresso da pensieri sul senso dell'esistenza: solo con i fantasmi, il dubbio, l'essere o non essere…

La scena è rotta da pannelli purpurei, un rosso che risucchia e risputa un bianco di personaggi, ne svela dalle morbide fessure frammenti improvvisi o insinuanti, al ritmo disarmonico di una mente turbata… Alle spalle di Amleto un canto di Gertrude e un ghigno di Re, davanti a sè un teatrino in miniatura con i personaggi del dramma che vanno svanendo ad ogni colpo mortale, e lo Spettro dentro… il Principe galleggia in un presente dilaniato tra misfatto subìto e ingannevole follia… "fragilità, il tuo nome è femmina"

Irrompe un frastuono lussurioso all'eco lontana di festini e battaglie, personaggi ebbri di vita si spengono nella loro nudità ai fianchi della scena… Entrano gli attori, accade la pantomima, turbamento e divertimento, odore di vendetta che si fa strada e che non verrà consumata… Pioggia di petali che ingoia Ofelia, danza di scheletri, preludio al duello finale, climax in scala di marionette che irrompe in dramma su scala umana…

 

Maria Grazia Cipriani



Riconoscimenti

finalista al premio UBU come migliore spettacolo dell’anno con Amleto

2010

candidatura al premio E.T.I. "Gli Olimpici del Teatro" allo scenografo Graziano Gregori per le scene dello spettacolo Amleto

2011



Recensioni

Amleto - L'unità

Rossella Battisti

Il Teatro è play. Ce lo ricorda meravigliosamente il Teatro Del Carretto col suo Amleto, trasformato in gioco autistico a prospettiva unica. Quella del protagonista (un intenso Giandomenico Cupaiuolo) che si relega in un angolo con i suoi burattini, intento a raccontare e raccontarsi una storia. Attore e regista di sé e degli altri, in una stanza della mente contornata di pannelli rossi che si squarciano rivelando folgoranti visioni. Lo Shakespeare in pillole creato dal Carretto è una favola grottesca, un sogno pazzo che si ricompone come un mosaico perfetto. E’ un Amleto che pensa se stesso, che ripercorre ossessivo le sue vicende, le cuce insieme con pensieri ed emozioni, in una trama inevitabilmente tragica. Intorno a lui, i fantasmi che evoca: la madre Gertrude dipinta da regina bianca tratta da un film di Tim Burton, frivola e quasi oscena con la gonna rivoltata in su, purpurea come un sesso aperto, a lasciare in vista le calze a metà coscia. Canta e sgambetta, ubriaca di vita mentre si lascia andare all’orgia-bolgia di re moltiplicati. E c’è Ofelia la casta, fanciullina travolta dalle passioni schizzate di Amleto (la interpreta, alternandosi al ruolo di Gertrude, una versatile e bravissima Elsa Bossi). Figurina esile, catturata al laccio e spogliata della vita prima di assaggiare l’amore. Polonio, impacciato e pieno di tic, frettoloso servo senza midollo. Rosencranz e Guildenstern, ennesime pedine del re usurpatore che vanno incontro al destino saltellando come Pinco e Panco. I guitti che teatreggiano riflettendo play e tragedia in un rispecchiamento infinito, la danza macabra dei personaggi come un fumetto disneyano…Nella mente di Amleto. La regia di Maria Grazia Cipriani miscela sapiente l’ironia al cartoon, la tragedia allo sberleffo. Sposta e scompone ma si puntella all’idea drammaturgica del suo Amleto-fulcro, mentre Graziano Gregori, le apparecchia l’efficace scenografia e i costumi. Il Carretto ci offre così un altro frutto glorioso. Non ha bisogno di effetti speciali o costose apparecchiature per avvicinarsi all’immaginario fantastico di teatrali Avatar o nuove Alici: gli basta restare fedele alla sua artigianalità, fatta di materiali poveri e usi ingegnosi. Esplorando fisicità originali che ridanno alla parola la giusta tensione, le brillanti intuizioni che fanno di questo Amleto un geniale “resumé” dello Shakespeare già andato in scena. E’ questo l’aspetto più interessante della carriera del Carretto – apparentato per un verso a quelle compagnie che hanno fatto la storia recente del nostro teatro (come i Marcido o la Valdoca) e capaci di essersi date uno stile personale – ma al tempo stesso, così sensitivo da mutare impercettibilmente. Scegliere, per dire, un raffinato creatore di suoni come Hubert Westkemper per arricchire i loro paesaggi scenici. Saper diventare più cinematografici di un film, continuando a essere teatro puro. Ecco come si passa dall’artigianalità all’arte.  

Amleto - Lo Schermo

Sara Ricci

Amleto del Teatro Del Carretto: pareti rosse, scheletri e suoni di lame.

Perfino gli scheletri hanno paura di Amleto. Sono l’incarnazione della morte, che sempre arriva e, dunque, della certezza. Di fronte ad Amleto, che è l’incarnazione del loro contrario, cioè del dubbio e dell’incertezza, indietreggiano spaventati, facendosi animo con una grottesca danza macabra. L’Amleto del Teatro Del Carretto è l’ambiguo che devasta, distrugge, spacca, annulla le possibilità di senso: restare alla sua presenza è troppo persino per uno scheletro già disarticolato. La reggia di Elsinore invece da questo ambiguo è disgregata, la morte entra tra le sue pareti acerba come il colpo di taglio di una spada, che entra dalle orecchie, portato dal suono di Hubert Westkemper. Dalle orecchie è arrivata anche la prima morte, quella che origina le ragioni dell’intero dramma: l’assassinio del padre di Amleto, avvelenato inerme in sonno dal perfido fratello, con un veleno versato nel padiglione di un orecchio. Come la prima, tutte le morti in questo Amleto sono senza sangue, senza il fluido sprizzante della vita, senza quel liquido caldo e purpureo che infiamma e riscalda la certezza dell’esistere, che urla la vita quando esce dai corpi per morte violenta. Perché non è questo il centro del senso di questo allestimento. Al centro c’è il tormento nudo dell’indecisione e il freddo grigio della pazzia.

Questa è la causa delle morti nell’Amleto del Teatro del Carretto, splendenti e nette come acciaio. Porpora sanguigna c’è, però: è nelle pareti della scena di Graziano Gregori. Al vedersi quasi piastrelle di ceramica preziosa: al toccarsi, invece, tendaggi di velluto trapuntati. Come fossero l’interno delle camere di un cuore, attraverso cui entrano ed escono i personaggi della reggia e le visioni di Amleto.

Strazia i cuori, Amleto. Strazia il proprio, macerandolo nel dubbio di dar credito alle sue visioni e poi nell’indecisione della scelta del momento più opportuno per rispedire lo zio al creatore. Strazia il semplice cuore del servile Polonio, che chiede “aiuto” e in risposta riceve un pugnale nel petto. Strazia quello della madre Gertrude, che sfugge tra le pareti ma non può fare a meno di prender coscienza di essere immersa nell’incesto. Strazia il cuore e la mente di Ofelia, che impazzisce. Strazia il cuore di Laerte e fa smettere di battere il cuore dello zio, che già fremeva di sdegno per il fratricidio ma continuava a crogiolarsi nel piacere di aver ottenuto la corona. Dentro e fuori dal cuore della scena, rendono possibile il gioco di Amleto Giandomenico Cupaiuolo, Elsa Bossi, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Jonathan Bertolai e Carlo Gambaro. Nelle scelte corali e nelle splendide occasioni soliste sono un organismo vitale ben coeso, un solo corpo che con molteplici e autonome membra mette in scena tutti gli aspetti inafferrabili di Amleto, senza disperderli né risolverli ma affrontandoli in tutta la loro complessità. Se la compagnia del Teatro Del Carretto ci aveva abituato all’uso di artifici meccanici in scena, pupazzi, botole, fantocci, questa volta la regista Maria Grazia Cipriani ci sorprende limitando il non-umano al minimo e affidando al corpo, al gesto magnetico e alla voce degli attori tutto il dramma. La rappresentazione dell’uomo che emerge dall’Amleto, non può essere portata in scena altrimenti che con la complessità dei veri esseri umani. Nessuna macchina saprebbe arrivare a tanto. In un’ora e mezza il Carretto condensa e distilla tutto Amleto, riempiendo di senso mai scontato le parole del testo shakespeariano, con le duttili voci dei suoi attori e le posture dei loro corpi scolpiti dalle luci e guidati sul palco da dinamiche che seguono regole di drammaturgia cinestesica efficaci oltre ogni parola.                

Amleto stupendo mentre gioca a scacchi - La Repubblica

Franco Quadri

Maria Grazia Cipriani ha riscritto l’Amleto per il Teatro Del Carretto leggendolo come un diario del protagonista rivissuto con passione e fantasia da Giandomenico Cupaiuolo davanti alla scacchiera della vicenda. La quale è pure un teatrino d’attori e pupazzi, sullo sfondo di un gommoso recinto rossastro ideato da Graziano Gregori, in cui il pensiero e l’azione si rincorrono in dubbio tra essere o non essere. E mentre ritornano note verdiane – e non solo – nelle registrazioni di Hubert Westkemper, l’Ofelia di Elsa Bossi (che è pure Gertrude) muore colpita da corolle di fiori. E alla fine di una serata memorabile, i personaggi si sdoppiano prima che il protagonista evochi la strage finale in una partita di dama giocata con se stesso.              

Strepitoso ed intrigante l’Amleto del Teatro Del Carretto al Kismet di Bari-lsdmagazine.com

Michele Traversa

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Mancavano da questa estate in Puglia. Inseriti nel cartellone del Festival Castel dei Mondi nel cortile di Castel del Monte i tipi del Teatro Del Carretto con questa rappresentazione teatrale a metà tra cinema, musica con Amleto svoltasi al Teatro Kismet di Bari con una tre giorni di repliche che vedono la regia (ed il suo adattamento) di Maria Grazia Cipriani, con l’apparato scenico di Graziano Gregori e l’apporto musicale di Hubert Westkemper. Amleto ed i suoi innumerevoli cloni e Shakespeare meravigliosamente si presta a farsi icona pop o cartoon efferato, figurina nera e disperante rispetto a qualsiasi analisi definitiva. E avanti così, fissato in eterno fra dubbio (amletico!) e metafora teatrale multiuso, pronta per splendide operazioni di alto manierismo scenico. Impeccabile, e divertente una “danza macabra” con scheletri e teschi sulle note della Marcia funebre per marionetta di Gounod, che poi è la stessa musichetta all’inizio dei telefilm di Hitchcock. In Amleto assistiamo a un’evocazione di immagini e fantasmi nella mente del protagonista: figure bianche e gessose, ecco Gertrude e Ofelia, il re Claudio e Polonio, Rosencrantz, Guildestern, Laerte e compagni che entrano ed escono dalle pareti rosso porpora, tappezzeria permeabili ai passaggi in  scena, in una corte di Danimarca popolata da lemuri grotteschi e violenti. Di lato se ne sta Amleto, con la sua scacchiera e i suoi pupazzi di un teatrino privatissimo, dove gioca alla recita, dove moltiplica i ruoli (il fantasma del padre si fa in quattro), dove anche può dare e suggerire battute a tutti, facendosi regista e protagonista, lui unico senza trucco e tutto vestito di nero, figura contorta di povero Christus patiens. Incisiva è la cifra stilistica propria della Compagnia di Lucca, fatta di vigoroso impatto fisico nella corporeità degli attori, di soluzioni sceniche visionarie e grottesche, di raffinato citazionismo , di un mix di teatro, cinema, musica e media. Dimensione melò (brani da Handel come da Arancia meccanica) e momenti di burlesque si alternano con sintesi di grande effetto, fino al duello finale ma virtuale e a distanza, fra Amleto e Laerte, con coltellacci, veleno in coppa, quindi sintesi tragica conclusiva e fulminante. La regia di Cipriani e l’apparato di Gregori portano il gioco del play all’estremo e, in fondo, al nocciolo delle pulsioni di Amleto. La mammina Gertude, livido oggetto di desiderio, alza la gamba lubrica fasciata di bianca lingerie, mentre il sempre ubriaco e flaccido Re-Fellone (Giacomo Vezzani) la insegue strisciando sul palco come un serpente. Ofelia (la stessa attrice che fa Gertrude, la brava Elsa Bossi) si
lascia morire nel ruscello sotto il salice, ma sotto secchiate di petali di fiori, alla faccia del romanticismo e di tutti i preraffaelliti dell’800. Amleto (incisivo Alex Sassatelli) se ne muore fra i suoi dubbi…tutto il resto è silenzio. Quasi una standing ovation e lunghi applausi per un pubblico di persone appassionate che hanno apprezzato le doti degli attori Nicolò Belliti, Giacomo Pecchia, Carlo Gambaro, Jonathan Bertolai e dello splendido adattamento.

Amleto-La nuova sardegna

Walter Porcedda

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Cos’è “l’inverno del nostro scontento?” E’ quello che si nasconde dietro la linea d’ombra delle nostre coscienze.
Scosse come foglie al vento d’autunno le paure e i rimorsi agitano i sensi di colpa che divorano il cuore oscurando la ragione.

 

Si può citare Shakespeare per parlare di Shakespeare. Per scandagliare la follia di Amleto torna utile l’incipit del primo atto del “Riccardo III” evocatore di inquieti scenari e terribile futuro. E capire cosi ’quale sia l’indicibile dramma che corrode il principe di Danimarca, raccontato con squisito senso di contemporaneità dalla regia di Maria Grazia Cipriani nell’allestimento curato per il Teatro Del Carretto. Una mirabile e illuminante riscrittura della tragedia del Brado, solo apparentemente sconvolta nelle sue linee teatrali.

Immersa elettricamente in un’atmosfera di tensione e ironia, cinematografica e glamour si colora di bianco e di rosso. E di scuro con la musica della “Marcia funebre di una marionetta” di Gounod. Vicenda anche un po’ sbilenca quella di un principe che si rode di gelosia per la madre Gertrude andata in sposa allo zio, fratello del padre defunto avvelenato da entrambi. Una gelosia cupa che tutto divora proiettando l’agire scenico continuamente su due piani, in un rapporto osmotico tra macro e micro teatro.

Quello di una tastiera di scacchi dove i personaggi-pupazzi protagonisti del dramma sono oggetti effimeri nelle mani del principe che li muove come un bimbo che gioca ai soldatini.

La scena è delimitata da tre morbide pareti di raso rosso che si aprono all’improvviso per fugaci apparizioni, ingressi e fughe nevrotiche di un testo strappato che emerge qua e là in brandelli come scorie di una deflagrazione. Eppure, quanto fedele e assolutamente Shakespeariano questo atto unico dove tutto è già avvenuto e che la regia porta alla luce in un sorprendente gioco di rovesciamenti.

Cipriani tradisce Shakespeare per esaltarlo.
Amleto rimane solitario nel suo ovattato mondo fatto di sogni con tutti i suoi fantasmi intenti a ballare una danza macabra. Qui vaga come perduto dentro il liquido amniotico dei ricordi tra le sue figurine di
pezza e di legno. Colpevole tra i colpevoli, adolescente incatenato al complesso di Edipo. Viziato e nevrotico nel suo teatrino lillipuziano cela la propria impotenza perdendosi dietro il gioco dell’essere e non essere mentre Ofelia, sposa promessa e suicida (assieme a Gertrude madre infelice) che muore coperta di fiori è la vera eroina di questo allestimento con le stimmate della modernità: una storia cioè di palpitante realismo.

Grande è la maestria di Shakespeare nel celare sottotraccia i conflitti più intimi e veri che questo straordinario allestimento rivela.

Tutti bravi gli attori. Da Alex Sassatelli e Giacomo Vezzani, Nicolò Bellitti, Giacomo Pecchia, Carlo

Gambaro, Andrea Jonathan Bertolai. Un plauso speciale ad Elsa Bossi nel ruolo Ofelia/Gertrude. Scene e costumi di Graziano Gregori, suono di Hubert Westkemper.

Amleto-inscenaonline.com

Lucia Tempestini

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Firenze- Se la Danimarca è “una prigione con molte celle e sotterranei”, la segreta più inaccessibile è la mente di Amleto: una stanza rettangolare formata da mura di mattoni rossi, che possono diventare, a seconda delle situazioni e del variare della luce, drappi o tendaggi attraversati dal canto della Regina (l’aria di Almirena dal “Rinaldo” di Haendel: “lascia ch’io pianga mia cruda sorte”), pietra dalla
consistenza metallica contro la quale urta Ofelia, lacerti vulvari nei quali spariscono i personaggi, passaggi oltretombali attraverso i quali si produce l’infinita duplicazione dello Spettro paterno, fenditure del castello incendiate dal fuoco delle torce, varco sul buio dell’obitorio che accoglie il corpo nudo e bianco della fanciulla annegata. In questo spazio tutto interiore, l’Io fantasmatico di Amleto rimette insieme i frammenti della storia macabra e ossessiva costruita dalla sua percezione del mondo circostante e degli eventi. Un mondo “uscito dai cardini”, inquietante alterato grottesco, dove sentimenti e parole si deformano, dove i movimenti dei corpi si plasmano intorno alle proiezioni del Principe. Le figure umane, bianche e immobili, sono inizialmente disposte nella stanza come per una partita a scacchi, e sui loro “doppi” (statuine lignee colorate poggiate su una cassetta marrone) infierisce crudelmente Amleto. I fantasmi (tali perché defunti e perché, forse, mai esistiti così come li percepisce e rappresenta il protagonista), o meglio i revenants, ossessionano Amleto per indurlo a raccontare la propria ossessione. O probabilmente è Amleto stesso a chiamare a sé le proprie creature odiate e amate per prolungare il suo fitto, avvitato ragionare, il continuo avvicinarsi ed eludere il grumo sordo del dolore: la necessità (creata dall’interazione con l’Immagine del Padre, e dall’assimilazione degli elementi costitutivi di questa figura, fondamentalmente estranei alla personalità del Figlio) di reagire con violenza al putridume che ammorba Elsinore (il giovane rifiuta di spogliarsi del suo colore notturno perché anche il cielo gli pare solo un mucchio di miasmi venefici), contrapposta al dubbio, all’esitazione, all’inutilità di ogni gesto di fronte all’inafferrabilità e alla mancanza di senso della vita.La vendetta viene quindi avvertita come un peso opprimente, che genera desiderio di fuga e di oblio.

Questa antinomia interiore, questo dilemma irrisolto, è la radice dell’insofferenza e dell’atteggiamento ondivago e delirante (a volte puerile e solipsistico) di Amleto nei confronti di ciò che vive e si muove intorno a lui. Così, la psiche alterata e rancorosa del Principe accomuna Ofelia e Gertrude, rivolgendo alla prima moniti e accuse destinate alla seconda. E’ impressionante come la regia geniale di Maria Grazia Cipriani (aiutata dalla meravigliosa compagnia del Teatro del Carretto e dallo scenografo/costumista Graziano Gregori) riesca a estrarre dal dramma ogni nucleo tematico e a renderlo evidente costruendo un labirinto di metamorfosi fiabesche, spesso maligne. Si passa di emozione in emozione, attraversando una complessa rete di riferimenti, manipolazioni, suoni di
inquietante durezza, cortigiani che evocano l’incarnato livido, malato, delle figure di Kirchner, attori che riproducono con talento sublime la guitteria esilarante e cattiva della farsa elisabettiana, grida di corvi che ci trasportano in una terra remota punteggiata di alberi neri e spogli, la Danse Macabre sospesa fra Hans Holbein e il musical newyorchese (con scheletri danzanti abbigliati come Fred Astaire, che possono anche far venire in mente l’apparente leggiadria di certe sequenze di “Mulholland Drive”, lambite da fiamme infernali).

Amleto-dramma.org

Maria Dolores Pesce

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Terzo e ultimo appuntamento del ciclo “3 spettacoli all'insegna del Bardo”, è in scena da 23 al 27 novembre al Teatro della Tosse di Genova questa riscrittura, sorta di affascinante ed intima rivisitazione del celeberrimo dramma shakespeariano, creata da Maria Grazia Cipriani per il Teatro del Carretto nel contesto delle scenografie e dei costumi dell'altro fondatore dell'ormai famoso gruppo toscano, Graziano Gregori. Sul palcoscenico i giovani attori della compagnia, Alex Sassatelli, Elsa Bossi, Giacomo Vezzani, Giacomo Pecchia, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro e Jonathan Bertolai, che con abilità e maturità gestiscono le loro indubbie capacità mimiche e coreografiche nella tradizionale linea attoriale innovativa e multisegnica. È, questo del Teatro del Carretto, una sorta di Amleto visto dall'interno, e non a caso ho sottolineato l'intimo collegamento di significazione tra tessitura drammaturgica e una scenografia che metamorfizza quasi nello spazio teatrale la mente del principe di Danimarca, luogo in cui irrompono e si materializzano i personaggi del dramma visti quasi come pensieri che agitano
l'inquieto protagonista. La struttura drammaturgica di Shakespeare è così riarticolata sui diversi piani di chiarezza e significazione che i pensieri assumono, rielaborati in una sorta di racconto posteriore, dai chiari segnali psicoanalitici, che tende e produce consapevolezza interiore. Così la tragedia di Amleto è come riproposta, riprodotta e moltiplicata nella riscrittura drammaturgica della narrazione, nella sua rappresentazione in scena ed infine nella sua riproposizione con i pupazzi giocati come pedine di una virtuale scacchiera. Ne nasce un effetto di profondità del transito scenico che pare palesare gli inconfessati segreti e i desideri inconsci del protagonista e dei comprimari, segreti e desideri che quasi si materializzano in movimenti recitativi e coreografici sempre coerenti e intrinsecamente disvelatori. Basti citare, ad esempio, il bacio sensuale della madre ad Amleto nel momento centrale della drammaturgia, bacio che non riesce più a nascondere il sottofondo freudianamente incestuoso che accompagna la percezione che della sua vicenda esistenziale ha Amleto stesso, sottofondo che, tra l'altro, si concretizza anche nella sovrapponibilità delle figure maschili della rappresentazione del Teatro del Carretto, sovrapponibilità in virtù della quale tutti sono il re ed insieme il fratello del re (ed anche proiezione di Amleto), e tutti dunque fedifraghi e traditori/traditi rispetto all'amore che lega madre e figlio.
Analogamente sovrapponibili, e non solo per essere interpretati da un'unica attrice, le figure della regina e di Ofelia, su entrambe le quali si agita e si scarica l'odio per il tradimento primigeneo e non rielaborato, odio e attrazione che si manifestano anche in un immaginario di degenerazione sensuale e quasi oscena che accompagna soprattutto l'immagine della madre di Amleto. Ricondotta ed interpretata a dramma della mente la tragedia shakesperiana, su cui non si esercita peraltro alcun
tradimento sintattico o narrativo, si spoglia dunque di ogni orpello o incrostazione storica e sociologica, per apparire come nudo meccanismo di sentimenti turbinosi e non rielaborati che agitano la mente del giovane Amleto, assumendo esplicitamente quelle caratteristiche di universalità che già possiede, ma che questa drammaturgia squaderna efficacemente agendo sullo spazio scenico e all'interno dello spazio scenico. Dunque un'altra prova efficace e affascinante di questo gruppo che da oltre vent'anni occupa un suo spazio importante, e ormai riconosciuto, all'interno del teatro di innovazione e di ricerca e che nella sua storia ha elaborato soluzioni sia drammaturgiche che recitative, nella citata mescolanza tra parola suono e movimento coreografico, assai interessati e raffinate. L'esordio genovese di questa drammaturgia ne ha segnato, per il successo ottenuto, un ulteriore riconoscimento.

 

ENG

In the third and last production in the series “3 Shows in the Name of the Bard”, at the Teatro della Tosse in Genoa from 23 to 27 November, Maria Grazia Cipriani offers a fascinating and intimate remake of the celebrated Shakespearean tragedy with the Teatro del Carretto, sets and costumes by the co-founder of the famous theatre group from Tuscany, Graziano Gregori. On stage the company’s young actors, Alex Sassatelli, Elsa Bossi, Giacomo Vezzani, Giacomo Pecchia, Nicolò Beliti, Carlo Gambaro and Jonathan Bertolai, who masterfully and with mature wisdom blend their unquestionable theatrical and choreographic ability with their usual innovative and multifaceted acting. This production by the Teatro del Carretto is a Hamlet seen as it were from within, and I stress the importance for the dramatic thread of the staging, in which the mind of the Prince of Denmark appears transformed into tangible theatrical space, a place into which the dramatis personae burst or anyway emerge as if they were the tormented feelings of the restless hero made flesh. Shakespeare’s dramatic structure is reworked to different levels of clarity and meaning in the ideas in a sort of post hoc account which smacks of psycho-analysis, that inclines to and stimulates inner awareness. In this way Hamlet’s tragedy is proposed afresh, reproduced and multiplied as a result of this theatrical rewriting of the narrative, in its representation on stage and in its reflection in the pieces moved like pawns on an imaginary chequer board. This creates an effect of depth in the staging which renders visible the un-confessed secrets and subconscious desires of the protagonists, secrets and desires which are almost given material form by the recitative and choreographic movements, which are cohesive as well as intrinsically revealing. Such as for example in the central moment of the sensuous kiss between Gertrude and Hamlet, a kiss in which the Freudian and incestuous subtext, integral to Hamlet’s perception of his existential drama, can no longer be concealed. This subtext also accounts for the interchange of the male figures in the Teatro del Carretto production, an overlay which results in all the players becoming both the king and his brother (and by extension also Hamlet) and therefore all unfaithful betrayers of, or betrayed by, the love of a mother for her son. Similarly interchangeable, and not only because played by the same actress, are the roles of the Queen and Ophelia, both of whom are agitated and struck down by the hatred of the primitive and raw betrayal, a hatred, but also an attraction, manifested in images of a degenerate, almost obscene sensuality which accompanies above all the figure of Hamlet’s mother. Taken back to a drama of the mind, and interpreted as such, the Shakespearean tragedy, of which in this production there no syntactical or narrative alteration, is here laid bare of any false glitter or historical and sociological incrustation and appears as the naked mechanism of the stormy and raw feelings inhabiting the young Hamlet’s head, assuming explicitly a universality that is intrinsic to the play but that this production lays bare efficiently operating on the stage structure and within the performance space. This is thus yet another skilful and fascinating production by this company, which for two decades has occupied an important, as well as acclaimed, place in avant garde and research theatre and which over the years has elaborated fascinating and refined dramaturgical and recitative solutions, blending impeccably, as mentioned earlier, words, sound and choreographic movement. The Genoese debut of this production was very well received and notches up yet another resounding success.

Amleto-La Stampa

Osvaldo Guerrieri

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E se l’Amleto fosse un gioco di ragazzi e lo stesso eroe eponimo, l’irresoluto principe di Danimarca, fosse turbinosamente sospeso fra due età: quella infantile e quella adulta? Ce lo domandiamo assistendo alla bellissima messa in scena della “madre di tutte le tragedie” che il Teatro Del Carretto ha portato al Carignano per il Festival Prospettiva 2. La creazione di Maria Grazia Cipriani racconta Shakespeare per lampi narrativi, tra schiocchi di lame e luci ghiacciate. Lo scenografo Graziano Gregori monta un ring dalle pareti rosso sangue, gommoso e perforabile. All’interno di questo recinto, Amleto va incontro al proprio destino di vendicatore-vittima come se giocasse una partita a scacchi contro se stesso e contro coloro-tutti che infettano di vizio o di servilismo la corte di Danimarca. Tutto ciò che accade in scena, sembra perciò frutto dell’immaginazione di Amleto e si colloca in una dimensione immateriale dove ogni cosa, pur rivelandosi possibile, è finta come nel gioco, come nel teatro. Non a caso i personaggi di contorno sono bianchi o seminudi. Non a caso la trepida infelicissima Ofelia muore non per annegamento ma colpita da una cascata di fiori. E non a caso, quando qualcuno ha la peggio, è il pupazzetto sulla scacchiera che perde la testa. Alla fine, nel momento risolutore del duello tra Amleto e Laerte, lo scontro è mimato a distanza, i coltellacci (non le spade) sibilano nel vuoto, si muore senza che una goccia di sangue sia versata. Lo spettacolo ha in sé un’originalità interpretativa che non va contro Shakespeare. Anzi lo illumina di nuova luce. E si avvale di collaboratori di primordine. Indispensabile citare gli effetti sonori firmati da Hubert Westkemper. Altrettanto doveroso ricordare l’eccellente prova degli attori. Cominciando da Alex Sassatelli, Amleto nevrotico e autistico, unico nerovestito in un mondo biancastro di fantasmi. Elsa Bossi è bravissima nella parte di Ofelia e anche in quella della Regina, che vediamo circondata dai multipli della sua ossessione incestuosa e tuttavia non priva di quella ilarità che non si separa mai dal gioco.

 

ENG

What if Hamlet were a childhood game and the hero of that name, the irresolute Prince of Denmark, suspended stormily between infancy and adulthood? These are questions that come to mind watching the performance of the “mother of all tragedies” by the Teatro del Carretto in Carignano for the Festival Prospettiva 2. Maria Grazia Cipriani tells Shakespeare’s tale in narrative flashes, with clashing blades and icy lighting. The scenographer Graziano Gregori creates a sort of boxing ring with blood-red walls, spongy and penetrable. Within these confines Hamlet goes to meet his destiny of avenger-victim as if playing a chess match against himself and those – and none escape – who infect the Danish court with vice and subservience. Everything that happens on stage thus appears to be the fruit of Hamlet’s imagination and is set in an immaterial dimension where everything, however plausible, is unreal, as if in a game, as if on stage. It is no accident that the secondary characters are in white or semi-naked, no accident that the tormented, bold Ophelia dies not by drowning, but struck down by a waterfall/cascade of flowers. And it is significant that when someone succumbs, it is the piece on the chess board to lose its head. At the end, at the moment of resolution in the duel between Hamlet and Laertes, the confrontation is played out at one remove, the knives (not swords) hissing in empty thrusts, death coming with no bloodshed. The production boasts an interpretative originality which, far from going against Shakespeare’s intentions, sheds new light on the play. And it benefits from first rate collaborators amongst whom first mention goes to Hubert Westkemper for the sound effects. The same goes for the actors, excellent without exception. Starting with Alex Sassatelli, a nevrotic, autistic Hamlet, the only player dressed in black in a whitish world of spectres. Elsa Bossi is as brilliant as Ophelia as she is as the Queen, whom we see not only surrounded by the replicants of her incestuous obsession but also tinged with the hilarity ever present in play.

Amleto, la danza macabra del Teatro Del Carretto-klpteatro.it

Sergio Lo Gatto

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Amleto e il Fool Cupo, grottesco, sanguigno, sudato, eccessivo, melodrammatico, sporco, emaciato, crudele, ardente, composto, nero, marcio, rigoroso, sintetico, nuovo, caldo, moderno, chirurgico, sonoro, macabro, sapiente, saporito, ingiusto. Bello, bello, bello. Per una volta lasciamo che a dire le prime parole sia un giudizio, ancor prima di prendere in mano il bisturi e dare inizio all’autopsia. Maria Grazia Cipriani guida il suo Carretto in un adattamento tra i più felici della più grande tragedia di Shakespeare. Il principe di Danimarca dà vita alla storia e ai personaggi come fosse un bambino annoiato in un pomeriggio di pioggia: gioca con le bambole, crea e distrugge i personaggi, li rende invincibili o vinti a suo piacimento.
La vicenda, adattata alla perfezione da Cipriani, cola dalle immagini chiare e forti con la stessa fluidità del sudore di questo gruppo di straordinari attori. Non si tratta di un libero adattamento, ma di sintesi rigorosa, in cui a ciascun elemento è assegnato il giusto peso. La sensazione è che il lavoro del Teatro del Carretto punti proprio a questo, a dimostrare che a dar vita a personaggi così complessi come
Amleto, Ofelia, Claudio, Gertrude, Polonio, Laerte e via dicendo ci siano impulsi animali talmente primordiali da poter essere intuiti anche da un bambino. La scena e i costumi di Graziano Gregori chiudono tutti i demoni della mente umana nella stessa scatola rossa: follia, amore, morte, valori, disperazione, gelosia, avidità, superbia, sesso, violenza, umorismo, in una parola vita. Ci si ritrova pressati dentro questi pannelli rossi che sono a metà tra le mura imbottite del manicomio e le
soffici pareti di tessuti irrorati di sangue. Corriamo senza sosta né respiro, a capofitto giù negli istinti più bassi dell’uomo, in un tunnel dell’orrore in cui ogni movimento ha una risonanza fatale (la bella partitura sonora è di Hubert Westkemper), come a ricordarci che nessuna azione resta senza conseguenze, un concetto chiave di Shakespeare e di "Amleto" in particolare.
Raramente si assiste a un lavoro così pulito. Il gruppo di attori funziona come un organismo, tirato dallo stesso filo che intesse la presenza di tutti i personaggi, in consonanza assoluta. Il protagonista è un Amleto sui generis, cinico e beffardo, che lavora sui cliché del gesto grandeattorico per ottenere un mix straniante di posture ottocentesche ed emozioni da teatro povero grotowskiano; Elsa Bossi una
Ofelia/Gertrude da mettere i brividi, che strappa lacrime come erbacce moleste, scherzo giocato all’età anagrafica, che muta vertiginosamente con il variare delle espressioni. Il resto degli attori, dal Claudio repellente e muto al demone da fiaba nera che versa il veleno nell’orecchio del re di Danimarca, sono un magma di anime inferocite, che accelera i secondi all’orologio e le pulsazioni al cuore. Ci vuole coraggio, molto coraggio a sedersi a tavolino per ristudiare questo testo fondamentale. Il Teatro del Carretto fa molto di più. Fracassa quel tavolino e rovescia tutte le suggestioni possibili in scena. La tonalità vermiglia delle pareti resetta la gamma di colore, ci abitua a percezioni differenti, assume gli abiti bianchi come interferenze da cancellare subito, da risucchiare con fasci di luce che appaiono e scompaiono, per lasciare di nuovo il posto a un bagliore diffuso che rende tutti cianotici, sovraesposti. Le parole di cristallo del Bardo si frantumano in gesti tirati allo spasimo, pompano vene e muscoli e traspirano come sudore dai corpi degli attori, ci riempiono le orecchie bombardandoci la coscienza. E c’è un senso nuovo assegnato a quelle riflessioni sulla morte, a quelle chiacchierate di Amleto con il teschio del suo giullare. Un senso sottile, impossibile da rendere a chi non si lasci trascinare in questa “danse macabre”.

 

ENG

(…) Maria Grazia Cipriani at the helm of her Carretto in one of the most successful adaptations yet of Shakespeare’s great tragedy.
The prince of Denmark breathes life into the story and the characters as if he were a bored child on a rainy afternoon: he is playing with his toys, creating and destroying pretend characters, they are invincible or vanquished according to his whim. The story, as admirably adapted by Cipriani, abounds in sharp and vibrant images which are as vital as the sweat of this group of extraordinary actors. This is not a free adaptation, but rather a rigorous synthesis, in which every element has been assigned its due importance. One gets the feeling that the aim of Teatro del Carretto is precisely to demonstrate that characters as complex as Hamlet, Ophelia, Claudius, Gerturude, Polonius, Laertes and the others are animated by such primordial animal instincts that even a child can dream them up. Graziano Gregori’s scenes and costumes enclose all the demons of the human mind in the same red box: madness, love, death, values, desperation, jealousy, avidity, pride, sex, violence, humour, in a single world life. We find ourselves compressed by the red panels which are half way between the padded walls of an asylum and the softness of organic tissue. We dash without interruption, without being able to catch our breath, plunging down among man’s basest instincts, into a tunnel of horror in which each single move has a fatal effect (the beautiful musical score is by Hubert Westkepmer) as if to remind us that nothing we do is without effect, a fundamental concept for Shakespeare and at the very heart of Hamlet in particular. It is rare to attend a performance of such clarity. The group of actors functions like a single organism, suspended from a single cord which binding all the characters together, in complete harmony. The protagonist is a Hamlet very much sui generis, cynical and sardonic, who uses cliched gestures to powerful effect , producing a curious mix of nineteenth century poses with emotions more appropriate in esential Grtowskian theatre; Elsa Bossi is a stunning Ophelia/Gerturude. who provokes tears with consumate ease, apparently playing tricks even with her age by merely altering her expression. The rest of the actors, from the repellent and mute Claudio to the demon from the blackest of fables who pours the poison into the King’s ear, together form a magma of tormented souls which seems to speed up the second hand as well as our heart beat. It takes courage, considerable courage, to sit down around a table and take up again this fundamental text reinterpreting it. The Teatro del Carretto does much more. On stage it breaks up the very table and overturns all the possible interpretations (…)

 

L'Amleto secondo Maria Grazia Cipriani-Fogli e parole d'arte

Susanna Battisti

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Amleto se ne sta accovacciato davanti ad una piccola scacchiera e muove le pedine del suo teatrino dell’immaginazione. Alle sue spalle, pallidi e immobili, sono schierati i “doppi” in carne ed ossa dei protagonisti della sua ossessione: il Re, la Regina, Ofelia, Polonio, Laerte, Rosencratz e Guildestern. Con gesto deciso spazza via le statuette e gli attori si accasciano a terra. L’incipit fulminante dell’Amleto ideato e diretto da Maria Grazia Cipriani coincide dunque con un ipotesi di regia da scartare, con un’incertezza ed un voler ricominciare da capo. In linea con l’onirica visionarietà fiabesca delle precedenti produzioni del Teatro del Carretto, questa versione dell’Amleto enuclea ed espande il fulcro tematico di una tragedia che sostanzialmente si interroga sul rapporto ambiguo tra la realtà e la sua rappresentazione. Amleto è un uomo solo con i suoi interrogativi sul senso dell’esistenza (il primo “eroe tragico moderno”, per dirla con Agostino Lombardo), un attore sballottato tra l’essere e l’apparire, e il regista del suo teatro tutto interiore. Un teatro basato sulla ripetizione e la moltiplicazione dell’immagine. Il suo spettacolo ha una struttura circolare e inizia e finisce con le prove della scena del duello finale con Laerte, lasciando immaginare infinite rappresentazioni mentali del suo presagio di morte. Delimitato sui tre lati da teli rosso sangue da cui emergono e dai quali vengono risucchiati personaggi tanto spettrali quanto corporei, lo spazio scenico si configura come prigione della mente di Amleto. Fortebraccio, Orsic, le sentinelle, e persino Orazio, l’alter-ego del Principe, non compaiono perché i tagli, le sovrapposizioni e il montaggio cinematografico delle scene mirano ad una rappresentazione trasversale della tragedia che rifugge dalla benché minima forma di realismo. Tutto è filtrato dalla sensibilità di Amleto e questo non guasta nella rivisitazione dell’unico dramma scespiriano dove i personaggi esistono esclusivamente in funzione del protagonista. Il logorroico Polonio viene ammutolito e ridotto ad una comparsa che fa capolino dalle tende per spiare la follia di Amleto, e Laerte fa irruzione in scena soltanto per il duello. Orazio forse qui non serve perché ci pensa Amleto a raccontare la sua storia all’infinito e Fortebraccio, che sopraggiunge per rimettere in sesto la Danimarca, sarebbe fuori posto in una versione in cui Amleto non vede scampo dal marciume del potere. Eppure lo spettacolo riesce a coniugare elementi tragici, comici e persino farseschi con una naturalezza ed una intelligenza teatrale tali, da fonderli in un tutt’uno. La regina alterna parti del suo monologo iniziale rivolto ad Amleto con l’aria di Almirena (“ lascia che io pianga”) dal Rinaldo di Handel. Adiposo e perennemente ubriaco, il re Claudio si rotola a terra con una corona in testa e un paio di mutande nere a rappresentare la sua tracotanza e la sua lascivia incestuosa, mentre Geltrude si alza le vesti per mostrare le sue autoreggenti bianche. La dignità regale che il nuovo Re e la Regina ostentano in pubblico non è che una delle infinite recite nella recita in quello che sembra un labirinto di specchi. L’immagine del fantasma si quadruplica nei corpi di più attori che, abbagliati da un’algida luce bianca, fuoriescono dalle tende purpuree per raccontare la verità sull’assassinio del padre di Amleto. Gli attori incarnano più personaggi (Elsa Bossi è suprema nel suo doppio ruolo di Geltrude e di Ofelia), facendo bella mostra della loro doppia e anche tripla natura. Di quando in quando, Amleto mette in bocca le battute agli altri personaggi e fa anche la parte di suo padre dormiente poco prima del suo assassinio, forse anche per alludere al suo volere, ma non potere essere come il genitore omonimo. La fascinazione visiva delle scene e la perfetta coreografia dei movimenti degli attori sono evidentemente il risultato finale di un lavoro interpretativo che presuppone un sottile scavo del testo. Si pensi allo strisciare viscido di Claudio verso il corpo del fratello che la Danimarca crederà morto per il morso di un serpente. O alla burlesca rappresentazione di The Murder of Gonzago che viene portata alle lunghe per mettere davvero “lo specchio davanti alla natura” della Corte che la osserva. E infine alla efficacissima scena della follia di Ofelia che nel vuoto scenico appare ancor più misteriosa, o a quella, poeticissima, della sua morte insensata, sotto una cascata di petali bianchi. Se Amleto è una tragedia che pone domande alle quali non è dato rispondere, allora la versione della Cipriani, sebbene ridotta all’osso, coglie a pieno nel segno. Non a caso la morte stessa diviene personaggio o meglio burattino nelle mani del Principe che si interroga con disarmante semplicità sull’ “essere o non essere”. Come sempre l’efficacia dello spettacolo deriva non soltanto dall’inesauribile girandola delle soluzioni registiche, a dir poco, mai scontate, ma anche dalla fisicità potentemente espressiva e dalla intelligenza interpretativa di tutti gli attori.

 

ENG

Hamlet according to Maria Grazie Cipriani
Hamlet crouches in front of a small chessboard and moves the pieces of the theatre of his imagination. Behind him, pallid and immobile, are drawn up the flesh and blood “doubles”, or rather the main characters who populate his obsessions: the King, the Queen, Ophelia, Polonius, Laertes, Rosencrantz and Guildenstern. With a decisive gesture he hurls away the statuettes and the actors collapse to the floor. The electric incipit of this Hamlet, written and directed by Maria Grazia Cipriani, thus represents an idea for a stage setting to be rejected, as well as an uncertainty and a desire to start again. In line with the visionary dreamlike fables of Teatro del Carretto’s recent productions, this versions of Hamlet centres on and expands the thematic fulcrum of a tragedy which focusses principally on the ambiguous relationship between reality and its representation. Hamlet is Man alone with the dilemma of the meaning of life (the first “modern tragic hero”, to quote Agostino Lombardo), an actor torn between being and appearing, a director with his entirely interior theatre. His play has a circular structure and begins and ends with rehearsal of the duel scene with Laertes, with an infiinte number of mental images of his impending death. Enclosed on three sides by blood red drapes from behind which emerge and by which are swallowed up characters both ghostly and fleshy, the stage setting protrays Hamlet’s mental prison. Fortenbras, Yorrick, the sentries, and even Horatius, the Prince’s alter ego, do not appear because the cuts, the superimpositions and the cinematographic splicing of the scenes aim to achieve a transversal representation of the tragedy which avoids even the slightest hint of realism. Everything is filtered through Hamlet’s awareness and this is no loss in the revisitation of the only one of Shakespeare’s plays where all the secondary characters exist only in relation to the protagonist (…)

The visual attraction of the staging and the impeccable choreography of the actors’ movements are clearly the result of an interpretative effort based on a profound examination of the text. One thinks of Claudio’s unctuous slithering towards the body of his brother whom Denmark will be told has died from a snake’s bite. Or of the burlesque representation of The Murder of Gonzago which is portayed in every detail to “reflect, as in a mirror, the nature” of the Court which looks on. And lastly the highly effective scene of Ophelia’s madness which, in the midst of an empty stage, appears even more mysterious, or of her senseless death, supremely poetical, beneath a cascade of white petals. If Hamlet is intended to be a tragedy which begs questions to which it is impossible to answer, then Cipriani’s version, despite having been reduced to a bare minimum, is spot on. It is no accident that death itself becomes a character or rather a puppet at the hands of the Prince who asks himself with disarming simplicity whether “to be or not to be”. As ever the success of the performance rests not only with the inexhaustible, never banal, theatrical ingenuity, to say the least, of the director ,but also with the powerfully expressive physical presence and the intelligent acting of all the actors.

Amleto-teatroteatro.it

Mauro Corso

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Amleto, come tragedia più famosa e più rappresentata, è un'opera che implora l'adattamento, l'appropriazione, la contaminazione. Non sempre i risultati sono felici, questo è vero, ma questo costante lavoro di ricerca è indispensabile per mantenere vivo e presente il triste e cupo principe di Danimarca. Maria Grazia Cipriani in questo interessante adattamento del capolavoro shakespeariano mette da parte ogni finzione e ogni pretesa di realtà, immergendo il pubblico dentro la mente di Amleto. Una mente dunque dominata dalla follia, senza spiragli e vie d'uscita, in cui c'è solo spazio per i fantasmi dell'immaginazione febbricitante del principe. La scena si apre con il tema di Arancia meccanica di Walter Carlos e con i personaggi disposti sul palco come i pezzi da gioco su un tabellone. Tale disposizione è lo specchio fedele di un'altra scacchiera su cui è chino lo stesso principe. Quando Amleto scaraventa a terra le statuine di legno e pezza, i personaggi cadono a terra come pupazzi disarticolati. Così inizia questo insolito Amleto a metà tra danza, farsa grottesca e reverie. Mai la  Danimarca è stata così marcia. Poiché il punto di partenza è la percezione di Amleto, ogni dettaglio, ogni comportamento è fatto crescere a dismisura: la corte danese diventa così un serraglio di uomini bestia governati dalla lascivia, dall'ingordigia e dall'istinto ferino. Il nuovo re diventa così un nudo serpente che striscia lubrico e impudico come un verme, mentre la regina è affetta da una grave forma di schizofrenia che ne altera costantemente la personalità. Esemplare è da questo punto di vista il monologo rivolto ad Amleto in cui il testo shakespeariano si alterna con l'aria di Almirena tratta dal Rinaldo di Handel ("Lascia ch'io pianga"). Tutti i personaggi sono peraltro vestiti di bianco (tranne Amleto) per rafforzarne la dimensione spettrale. Sono dei morti che camminano sulla terra, sepolcri imbiancati incapaci di provare o trasmettere alcun senso di umanità. La compagnia del Teatro del Carretto dimostra ancora una volta di sapere reinterpretare i classici con sensibilità, capacità e rara potenza nella scelta delle soluzioni formali e visive. Il lavoro attoriale, che trova il suo apice nell’espressione fisica, nel movimento e nella coreografia. Il gesto preciso e la tensione dell’attore diventano in questo adattamento di Amleto potenti quanto le parole, e instaurano un legame profondo tra quello che avviene sul palco e quello che avviene all’interno del pubblico. Menzione speciale per Elsa Bossi, eccezionale nel doppio ruolo di Ofelia e della Regina.

 

 

ENG

Maria Grazia Cipriani in this interesting re-elaboration of Shakespeare’s masterpiece sets aside any attempt at fiction and reality and immerses the public in the workings of Hamlet’s mind. A mind dominated by madness, without hope or escape, where there is only room for the ghosts of the Prince’s fevered imagination. The scene opens to Walter Carlos’ theme from the Clockwork Orange and with the characters disposed on stage like players on a board game. This disposition is a faithful reproduction of another board over which Hamlet himself is poring. When he hurls the wood and lace figurines to the ground the actors fall to the ground like broken puppets. Thus begins this unusual Hamlet which hovers between dance, grotesque farce and reverie. Denmark has never been portrayed more rotten.
Given that the departure point is Hamlet’s state of mind, every detail, every reaction is exaggerated hugely: the Danish court becomes in this way a harem of men-beasts ruled by lust, greed and untamed instincts. The new King is represented as a naked snake which squirms, slippery and lewd
like a worm, while the Queen suffers from a serious form of schizophrenia which continuously alters her personality.

A perfect example from this point of view is Hamlet’s monologue in which Shakespeare’s text alternates with Almirena’s aria from Handel’s Rinaldo (“Lascia ch’io pianga”). All the actors are dressed furthermore in white (except Hamlet) to underline their ghostly dimension. They are the dead who walk this earth, whitened spectres incapable of feeling or communicating even the slightest hint of humanity. The Company of the Teatro Del Carretto demonstrates yet again its ability to reinterpret the classics with sensitivity, intelligence and a rare ability in choosing formal and visual solutions. The actors’ skills are best revealed in physical expression, in movements and in the choreography. The precision of the gestures and the tension in each of the actors become as powerful as the words themselves and establish a remarkable fusion between what is happening on stage and the feeling flowing amongst the members of the public. Special mention should be made of Elsa Bossi, exceptional in the double role of Ophelia and the Queen.

Amleto-ilgiudiziouniversale.it

Igor Vazzaz

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Un quadrilatero di drappeggi in porpora trapuntati: ring, scacchiera, arena e teatro. Il solo versante che traspare volge alla platea, parete paradossale e invalicabile per quello che è il dramma dei drammi, la vicenda del principe danese. Che è metafora, secondo declinazione: dell’uomo moderno; della macchina teatrale; del complesso edipico; dell’eroe–antieroe ben conscio dell’infinita vanità del gesto e, dunque, deciso a tuffarsi nel gioco scenico, in spregio alle realtà del delitto e della vendetta. Allo schiudersi del sipario, il quadro visuale, cupo e ossessivo nella sua fissità, è tormentato concretarsi della paranoia d’un Amleto perduto in livido carminio, contrastato dal nitore dei corpi seminudi e ferini che appaiono dalle stoffe parietali. In proscenio, alla destra dello spettatore, un ripiano da cui s’ergono figurine come da presepe, proiezione di quella tavola della mente che il testo shakespeariano cita più volte. Lì si svolge la trama di cui il palcoscenico è doppio speculare: al cader degli attori corrisponde il tonfo, per mano d’Amleto, delle statuine, e viceversa. Tutto ruota attorno a lui, tutto è creazione, visione e sogno del principe solitario, infante– regista, orditore di recite per soldatini cui mozzar il capo al momento convenuto. Un Amleto scostante, meditabondo, pervicace, disperato rispetto alla vendetta ordinatagli, fool e capocomico per la messinscena guittesca da egli stesso orchestrata. Tutto ruota attorno a lui, di scuro vestito, circondato da apparenze di bianco esiziale. Ed è vertigine di drappi sollevati ad animar la scena, di luci a tagliare il palco, di corporature dal sembiante ora marmoreo ora grottesco. È in queste rasoiate visive, cui fa eco un apparato sonoro di stentorei ottoni, lame sibilanti e percussioni ostinate, è in queste epifanie tornite e lancinanti che s’esprime appieno la poetica del corpo e del suono, autentica stella polare del Teatro del Carretto. La saga scandinava si rapprende, coagulata attorno al suo interprete primo, al suo delirio visionario: ogni segmento della storia è parto solipsistico e stravolto, pure la struggente morte d’Ofelia (Elsa Bossi, cui pure è affidato il ruolo di Gertrude), che la stessa fanciulla narra in terza persona con straziante e straniante litania, dilatata nel tempo e reiterata ad libitum. Vi è pure spazio per un intermezzo tra Tim Burton e Hitchcock quando, sulle note della Marche funèbre pour une marionnette di Gounod, buffi scheletri claudicanti accennano una macabra danza nel cimitero, mimando il gesto di scavar fosse. Le spade sguainate chiudono la tragedia: Amleto si dà all’arma bianca contro le fantasmatiche presenze della sua scena mentale; a distanza di palco, il gesto saettante è sufficiente per segnare e infliggere la stoccata. Tutti cadono, corpi in scena e marionette, residui ingombranti d’uno scacco completo, solitudine allucinata e allucinante di chi, nel rifiuto disperato d’un mondo delittuoso, trova unico indirizzo possibile nel rito scenico, nella reiterazione efficace e liminare di quel gioco serio che è il teatro, scatola magica e trappola immortale.

 

ENG

(…) As the curtain rises the stage is dark and obsessively immobile and we are presented with Hamlet, whose increasing paranoia tortures him, engulfed in a livid carmine colour contrasting with the clarity of the semi-naked feral bodies which materialize out of the wall hangings. At the front right of the stage a raised block supports model figures as if from a crib scene, projections of the oft-cited mind of Shakespeare’s text. There the action reflected on stage is played out: as the bodies of the actors fall to the ground a thud echoes from statuettes caste aside by Hamlet, and vice versa.
Everything happens in relation to him, everything is a creation, vision or a dream of the solitary prince, infant-director, plotter with tin soldiers whose heads are bitten off at the preordained moment. A Hamlet unstable, introverted, headstrong, made desperate by the revenge required of him, fool and lead actor of the play put on by the strolling players according under his direction. Everything revolves around the figure of the protagonist, dressed in dark hues, surrounded by bleached, white, broken creatures. And all is a whirl of drapes raised to animated the stage, of raked lights slanting onto the scene, of bodies now apparently petrified, now grotesque. It is in these razor sharp visions, echoed in an apparatus of sounds, of strident blasts of brass, of hissing blades and insistent percussion, and in these polished, excruciating appartions that are best expressed the poetics of body and sound that are so much the star in the firmament of the Teatro del Carretto (…)